Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


venerdì 31 agosto 2012

ITALIA – Ne abbiamo la conferma, Di Pietro riferiva dell’inchiesta all’America: Tiziana Parenti (ex Pm di Mani Pulite)

Una volta per tutte è stato detto: Antonio Di Pietro, soprannominato da qualcuno “Tonino l’Americano” aveva rapporti con gli amici d’Oltreoceano ben prima che l’inchiesta di Mani Pulite cominciasse ad entrare nel vivo. E non soltanto. Ai referenti diplomatici americani a Milano, l’ex pm, oggi leader dell’Idv, avrebbe anche rivelato in anticipo rispetto all’inizio degli arresti, il coinvolgimento di Craxi e della Dc. Andando avanti con ordine: ieri il quotidiano “La Stampa” pubblicava un’intervista postuma all’ex ambasciatore Usa in Italia, Reginald Bartholomew, il quale, ricordando il periodo iniziale del suo incarico, dichiarava: “Indagini giudiziarie, arresti di politici «presero subito il sopravvento sul resto del lavoro, perché la classe politica si stava sgretolando ponendo rischi per la stabilità del Mediterraneo», ed è in questa cornice che Bartholomew si accorge che qualcosa nel Consolato a Milano «non quadrava». Se fino a quel momento il predecessore Peter Secchia aveva consentito al Consolato di Milano di gestire un legame diretto con il pool di Mani Pulite «d’ora in avanti tutto ciò con me cessò», riportando le decisioni in Via Veneto”. Come se non bastasse oggi arriva la conferma sempre sul quotidiano torinese, con l’intervista all’ex Console americano a Milano Peter Semler, il quale seraficamente ricorda: «Parlai con Di Pietro, lo incontrai nel suo ufficio, mi disse su cosa stava lavorando prima che l’inchiesta sulla corruzione divenisse cosa pubblica. Mi disse che vi sarebbero stati degli arresti. Ci vedemmo alla fine del 1991, credo in novembre, mi preannunciò l’arresto di Mario Chiesa e mi disse che le indagini avrebbero raggiunto Bettino Craxi e la DC».

Con la medesima tranquillità, quasi fosse cosa buona e giusta, Semler rivela nell’intervista a “La Stampa”, «Di Pietro mi piacque molto, poi fece il viaggio negli Stati Uniti organizzato dal Dipartimento di Stato (…). Gli fecero vedere molta gente, a Washington, a New York (…). Ero spesso in contatto con lui, ci vedevamo (…). Con me era sempre aperto, ogni volta che chiedevo di vederlo lui accettava, veniva anche al Consolato (…)». Sempre oggi sullo stesso giornale, Di Pietro risponde: «Non potevo anticipargli il coinvolgimento dei vertici di Dc e del Psi, perché, in quel novembre, già indagavo su Mario Chiesa ma non avevo idea di dove saremmo andati a parare. Semler confonde conversazioni avute in tempi e con persone diverse».

A questo punto qualche domanda bisogna pur porsela: come mai Di Pietro riferiva all’allora console americano a Milano la nascita dell’inchiesta Mani Pulite? Soprattutto, quale importanza aveva, mediaticamente e politicamente parlando l’allora pubblico ministero, ben prima del famoso arresto del gestore dell’albergo Pio Trivulzio di Milano, Mario Chiesa, tanto da essere convocato dai più alti vertici diplomatici statunitensi? Abbiamo voluto porre questi ed altri quesiti a chi allora faceva parte proprio del pool di Mani Pulite, l’allora pubblico ministero Tiziana Parenti, già deputato di Forza Italia, che, in esclusiva all’Avanti! torna a parlare dei legami e delle sensazioni che aleggiavano nel palazzo di Giustizia di Milano.

Onorevole Parenti, allora, le nuove dichiarazioni sembrano darle ragione: quando lei disse che l’input dell’inchiesta non era soltanto italiano ma aveva radici americane, i suoi allora colleghi del pool, ad iniziare da Di Pietro la querelarono?

Questa di Semler è una confessione a tutti gli effetti. Sono cose che tutti sapevano, ma che in pochi hanno voluto dire. Ma sono contenta che finalmente anche diplomatici americani l’abbiano rivelato. Perché se noi guardiamo la storia, è vero che esisteva la corruzione nei partiti, ma per quale motivo iniziarono quelle indagini e soprattutto perché in quel momento?

Ce lo dica lei…

Dopo la caduta del muro di Berlino si erano formate in Europa determinate problematiche politiche: l’Italia non faceva passi in avanti, era proprio come adesso, chiusa in guerre intestine, e gli americani avevano paura e intendevano condurla da qualche parte. Perché loro volevano continuare a navigare indisturbati nel Mediterraneo e la figura di Craxi per loro era troppo ingombrante. Basta osservare i precedenti eventi internazionali che vedevano coinvolti i rispettivi paesi: Italia e America.

Ma sappiamo che il legame del nostro Paese con gli Stati Uniti è ben lontano…

E’ inutile nasconderci dietro un dito, l’Italia nasce sulla corruzione e sul protettorato americano, e questo è durato per 50anni. Poi qualcosa cambiò. Ma se non ci fosse stata una volontà specifica, visto che i nostri problemi erano ben precedenti alla data di inizio dell’inchiesta di Mani Pulite, forse quelle inchieste non si sarebbero mai fatte, o forse non sarebbero partite da Milano, regno del Psi di Craxi, e perché non da Roma o da Torino. Così come mi domando per quale motivo un console americano dovesse incontrare uno come Di Pietro che prima dell’arresto di Mario Chiesa era un emerito sconosciuto, non aveva condotto nessun inchiesta di rilievo. E non le nascondo che lo stesso arresto “in flagranza” di Chiesa mi sembrò orchestrato ad arte.

E il mondo della finanza?

Va detto che anche gli imprenditori hanno avuto una grande parte nella spallata nei confronti della Prima Repubblica, visto che si dovevano ridisegnare proprio gli assetti politico-economici del Paese.

L’ex console Semler dichiara nell’intervista a “La Stampa” di essere stato amico di molti giudici milanesi di allora. Lei lo conobbe?

Francamente non ho mai conosciuto questo signore. E anche questa mi sembra una cosa strana. Se è vero quello che dice su Di Pietro, non sapevo si potesse andare a rivelare indagini che avessero il segreto d’ufficio.

Quindi pensa che ci fu e che fu determinante il ruolo dell’America durante quel periodo del nostro Paese e negli anni immediatamente successivi?

Assolutamente. Per noi era un periodo drammatico quel del ’92 e del ’93: c’erano state le uccisioni di Falcone e Borsellino, le bombe. L’impellenza ormai era di sciogliere le Camere, la situazione era scappata di mano e già allora me ne rendevo conto. Tanto che come cittadino, prima ancora che come giudice, tutto questo mi allarmava.

E Di Pietro come s’inserisce in questo contesto?

Non so come si sia inserito, fatto sta che queste ultime dichiarazioni dimostrano dei suoi legami con gli Stati Uniti. Anche se non capisco dove l’ex console voglia andare a parare, ma sembra quasi voglia lanciare un messaggio. A chi e perché sarebbe curioso saperlo.

Insomma che direzione avrebbe dovuto prendere l’Italia secondo gli Usa?

Questo non so dirglielo. Posso dirle però che io ho visto con i miei occhi dei fogli con su scritto quello che sarebbe dovuto essere l’organigramma delle massime cariche del nostro Stato, girava per il Tribunale di Milano. Ricordo ancora l’occasione: ero scesa al bar del Palazzo di Giustizia per la pausa pranzo e qualcuno me lo mostrò. Io pensai: ma siete sicuri che le cose andranno in questo modo! La mia impressione era che avessero pianificato tutto troppo presto. Comunque, se c’è del vero basterebbe analizzare i documenti che ci sono rimasti, a cominciare dall’archivio di Di Pietro, proprio quello di cui si parla nell’intervista di oggi.

Andreotti diceva: «Visto che non ho fantasia, possiedo un grande archivio, e ogni volta che parlo di questo archivio chi deve tacere, come d’incanto, inizia a tacere». Strano che anche Di Pietro tenga un archivio, non crede?

Diciamo che di certo mi sembra strano che qualcuno abbia un archivio in casa.

Insomma come se ne esce da queste vere, presunte, parziali verità postume?

Se non riscriviamo con serietà la vera storia di questo Paese, invece di aspettare che tutti se la portino nella tomba, è naturale che non avremo più una memoria, che la politica non andrà avanti e che questo tipo di reati ci saranno ancora.

Lei queste cose le ha già dette ed è stata querelata dagli altri componenti del pool. Com’è finita?

Sono stata assolta dal tribunale di Brescia. Poi dalla Camera, in quanto onorevole, non è stata data l’autorizzazione a procedere nei miei confronti. Successivamente è stato sollevato il conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale, che a sua volta ha dichiarato l’improcedibilità verso di me. E per inciso, non ho mai accettato per le mie dichiarazioni alcuna transazione finanziaria con Di Pietro o altri del pool.

Giampiero Marrazzo

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