Con la medesima
tranquillità, quasi fosse cosa buona e giusta, Semler rivela nell’intervista a
“La Stampa”, «Di Pietro mi piacque molto, poi fece il viaggio negli Stati Uniti
organizzato dal Dipartimento di Stato (…). Gli fecero vedere molta gente, a
Washington, a New York (…). Ero spesso in contatto con lui, ci vedevamo (…).
Con me era sempre aperto, ogni volta che chiedevo di vederlo lui accettava,
veniva anche al Consolato (…)». Sempre oggi sullo stesso giornale, Di Pietro
risponde: «Non potevo anticipargli il coinvolgimento dei vertici di Dc e del
Psi, perché, in quel novembre, già indagavo su Mario Chiesa ma non avevo idea
di dove saremmo andati a parare. Semler confonde conversazioni avute in tempi e
con persone diverse».
A questo punto qualche domanda bisogna pur
porsela: come mai Di Pietro riferiva all’allora console americano a Milano la
nascita dell’inchiesta Mani Pulite? Soprattutto, quale importanza aveva,
mediaticamente e politicamente parlando l’allora pubblico ministero, ben prima
del famoso arresto del gestore dell’albergo Pio Trivulzio di Milano, Mario
Chiesa, tanto da essere convocato dai più alti vertici diplomatici
statunitensi? Abbiamo voluto porre questi ed altri quesiti a chi allora faceva
parte proprio del pool di Mani Pulite, l’allora pubblico ministero Tiziana
Parenti, già deputato di Forza Italia, che, in esclusiva all’Avanti! torna a
parlare dei legami e delle sensazioni che aleggiavano nel palazzo di Giustizia
di Milano.
Onorevole Parenti, allora, le nuove
dichiarazioni sembrano darle ragione: quando lei disse che l’input
dell’inchiesta non era soltanto italiano ma aveva radici americane, i suoi
allora colleghi del pool, ad iniziare da Di Pietro la querelarono?
Questa di Semler è una confessione a tutti
gli effetti. Sono cose che tutti sapevano, ma che in pochi hanno voluto dire.
Ma sono contenta che finalmente anche diplomatici americani l’abbiano rivelato.
Perché se noi guardiamo la storia, è vero che esisteva la corruzione nei
partiti, ma per quale motivo iniziarono quelle indagini e soprattutto perché in
quel momento?
Ce lo dica lei…
Dopo la caduta del muro di Berlino si erano
formate in Europa determinate problematiche politiche: l’Italia non faceva
passi in avanti, era proprio come adesso, chiusa in guerre intestine, e gli
americani avevano paura e intendevano condurla da qualche parte. Perché loro
volevano continuare a navigare indisturbati nel Mediterraneo e la figura di
Craxi per loro era troppo ingombrante. Basta osservare i precedenti eventi
internazionali che vedevano coinvolti i rispettivi paesi: Italia e America.
Ma sappiamo che il legame del nostro
Paese con gli Stati Uniti è ben lontano…
E’ inutile nasconderci dietro un dito,
l’Italia nasce sulla corruzione e sul protettorato americano, e questo è durato
per 50anni. Poi qualcosa cambiò. Ma se non ci fosse stata una volontà
specifica, visto che i nostri problemi erano ben precedenti alla data di inizio
dell’inchiesta di Mani Pulite, forse quelle inchieste non si sarebbero mai
fatte, o forse non sarebbero partite da Milano, regno del Psi di Craxi, e
perché non da Roma o da Torino. Così come mi domando per quale motivo un
console americano dovesse incontrare uno come Di Pietro che prima dell’arresto
di Mario Chiesa era un emerito sconosciuto, non aveva condotto nessun inchiesta
di rilievo. E non le nascondo che lo stesso arresto “in flagranza” di Chiesa mi
sembrò orchestrato ad arte.
E il mondo della finanza?
Va detto che anche gli imprenditori hanno
avuto una grande parte nella spallata nei confronti della Prima Repubblica,
visto che si dovevano ridisegnare proprio gli assetti politico-economici del
Paese.
L’ex console Semler dichiara
nell’intervista a “La Stampa” di essere stato amico di molti giudici milanesi
di allora. Lei lo conobbe?
Francamente non ho mai conosciuto questo
signore. E anche questa mi sembra una cosa strana. Se è vero quello che dice su
Di Pietro, non sapevo si potesse andare a rivelare indagini che avessero il
segreto d’ufficio.
Quindi pensa che ci fu e che fu
determinante il ruolo dell’America durante quel periodo del nostro Paese e
negli anni immediatamente successivi?
Assolutamente. Per noi era un periodo
drammatico quel del ’92 e del ’93: c’erano state le uccisioni di Falcone e
Borsellino, le bombe. L’impellenza ormai era di sciogliere le Camere, la
situazione era scappata di mano e già allora me ne rendevo conto. Tanto che
come cittadino, prima ancora che come giudice, tutto questo mi allarmava.
E Di Pietro come s’inserisce in questo
contesto?
Non so come si sia inserito, fatto sta che
queste ultime dichiarazioni dimostrano dei suoi legami con gli Stati Uniti.
Anche se non capisco dove l’ex console voglia andare a parare, ma sembra quasi
voglia lanciare un messaggio. A chi e perché sarebbe curioso saperlo.
Insomma che direzione avrebbe dovuto
prendere l’Italia secondo gli Usa?
Questo non so dirglielo. Posso dirle però che
io ho visto con i miei occhi dei fogli con su scritto quello che sarebbe dovuto
essere l’organigramma delle massime cariche del nostro Stato, girava per il
Tribunale di Milano. Ricordo ancora l’occasione: ero scesa al bar del Palazzo
di Giustizia per la pausa pranzo e qualcuno me lo mostrò. Io pensai: ma siete
sicuri che le cose andranno in questo modo! La mia impressione era che avessero
pianificato tutto troppo presto. Comunque, se c’è del vero basterebbe
analizzare i documenti che ci sono rimasti, a cominciare dall’archivio di Di
Pietro, proprio quello di cui si parla nell’intervista di oggi.
Andreotti diceva: «Visto che non ho
fantasia, possiedo un grande archivio, e ogni volta che parlo di questo
archivio chi deve tacere, come d’incanto, inizia a tacere». Strano che anche Di
Pietro tenga un archivio, non crede?
Diciamo che di certo mi sembra strano che
qualcuno abbia un archivio in casa.
Insomma come se ne esce da queste
vere, presunte, parziali verità postume?
Se non riscriviamo con serietà la vera storia
di questo Paese, invece di aspettare che tutti se la portino nella tomba, è
naturale che non avremo più una memoria, che la politica non andrà avanti e che
questo tipo di reati ci saranno ancora.
Lei queste cose le ha già dette ed è
stata querelata dagli altri componenti del pool. Com’è finita?
Sono stata assolta dal tribunale di Brescia.
Poi dalla Camera, in quanto onorevole, non è stata data l’autorizzazione a
procedere nei miei confronti. Successivamente è stato sollevato il conflitto di
attribuzione alla Corte Costituzionale, che a sua volta ha dichiarato
l’improcedibilità verso di me. E per inciso, non ho mai accettato per le mie
dichiarazioni alcuna transazione finanziaria con Di Pietro o altri del pool.
Giampiero Marrazzo
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