Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


giovedì 9 agosto 2012

EGITTO - Tunnel, l'ossigeno di Gaza

Giovedì, 09 Agosto 2012 - Cibo, kit di emergenza, gasolio. Ma anche armi e persone. Fino a qualche giorno fa, passava un po’ di tutto per le centinaia di tunnel che dal 2006 collegano il Sinai alla Striscia di Gaza, all’altezza del valico di Rafah. E, lontano da occhi indiscreti, nel sottosuolo si era sviluppato un fiorente commercio, vitale per l’economia degli 1,5 milioni di palestinesi residenti nella Striscia.
COMMERCIO A RISCHIO DOPO I RAID. Un commercio che i recenti scontri nel Sinai e la dura reazione del nuovo Egitto di Mohamed Morsi  rischiano ora di affogare. Il 5 agosto, un raid ha ucciso 16 poliziotti egiziani a un chekpoint lungo la frontiera tra Egitto e la Striscia di Gaza. Gli assaltatori hanno poi rubato un blindato egiziano e sono entrati in territorio israeliano, colpiti infine dall’aviazione dello Stato ebraico.
Intanto Il Cairo, denunciando il coinvolgimento di cellule terroristiche di Gaza nel raid, preparava il contrattacco. Nel giro di una manciata di ore, più di 25 terroristi sono stati uccisi dall’aviazione egiziana, che ha ripreso così pieno controllo del Sinai. E il 9 agosto, Morsi ha avviato infine la sua contromossa più dura: la distruzione dei tunnel di Rafah.
TUNNEL, UNICA VIA ESTERNA PER GAZA. In pochi, a Gaza, si attendevano una simile misura. La vittoria dei Fratelli musulmani alle recenti elezioni aveva infatti aperto nuovi orizzonti ai palestinesi della Striscia e all’amministrazione di Hamas, dopo gli anni dell’Egitto di Hosni Mubarak, fedele alleato degli Usa e attento ai rapporti con il vicino israeliano. Anni in cui il valico di Rafah era aperto a singhiozzo e in cui l’ingresso ufficiale delle merci nella Striscia era spesso ridotto ai minimi termini, frenato dall’embargo imposto da Israele nel 2006 e poi accentuato l’anno successivo con la vittoria di Hamas alle elezioni locali di Gaza. Da qui, il ruolo cruciale dei tunnel, unica e illegale via di accesso al mondo esterno per i palestinesi.

Vie del contrabbando sotterraneo abbandonate e poi riprese


Costruiti sin dal 2006, tra il 2008 e il 2009 i tunnel creati lungo la celebre Philadelphi Route (il confine meridionale che divide il Sinai dalla Striscia di Gaza) erano circa 1.600. Poi, l’aumento della sorveglianza delle autorità di frontiera e la lenta rispesa dell’import ufficiale determinò un graduale abbandono del contrabbando sotterraneo, facendo calare il numero dei passaggi a 600. La loro importanza, tuttavia, non è mai venuta meno.
GIRO D'AFFARI DA 500 MILA DOLLARI. Larghi da uno a tre metri, lunghi al massimo 800 metri e costruiti mediamente a 20 metri di profondità, i tunnel di Gaza hanno via via rappresentato una fonte di ricchezza per i loro proprietari e gestori, un cruciale apporto al miglioramento delle condizioni economiche della Striscia e, spesso, una via di fuga clandestina per i palestinesi.
Il valore annuale del commercio garantito dai tunnel si aggira attorno ai 500 mila di dollari, ma i benefici di quest’import illegale hanno nel tempo coinvolto un numero sempre maggiore di persone.
LAVORO CHE COINVOLGE 7 MILA PERSONE. Oltre ai proprietari, in gran parte giovani membri delle famiglie beduine degli Al Samhadana e Al Rish, in possesso dei dollari necessari per ottenere dalle autorità di Gaza i permessi per la costruzione di una galleria, il commercio sotterraneo tra l’Egitto e la Striscia coinvolge un folto gruppo di addetti ai lavori: circa 7 mila tra ingegneri, operai, sorveglianti, autisti e scaricatori, tutti impegnati in un’attività che spesso funge da loro unica fonte di reddito.
MERCI PER AIUTARE I PALESTINESI. Le merci trasportate, invece, hanno sovente dato respiro alla popolazione di Gaza, offrendo loro materiali da costruzione, kit medici, alimenti introvabili nella Striscia e perfino cavalli e beni di lusso. Il tutto a un prezzo sensibilmente minore a quello indicato dalle etichette nei supermercati di Gaza.
Se nel 2006 una tonnellata di merci da far passare sotto valico di Rafah costava circa 15 mila dollari, negli ultimi mesi il prezzo era sceso a 700 dollari, con inevitabili conseguenze sulla consistenza e la frequenza dei flussi.

Negli ultimi anni si è intensificato il contrabbando di armi


Tuttavia, in barba alla sorveglianza egiziana e israeliana, per le centinaia di tunnel di Gaza sono spesso passate anche armi di ogni tipo, con il rischio, reiterato periodicamente da Israele e Usa, di alimentare le cellule terroristiche.
Basti pensare che un comprare un kalashnikov giunto dalle gallerie illegali costava circa 350 dollari, 600 in meno del prezzo della stessa arma venduta all’interno della Striscia.
Negli anni, complice il crescente contrabbando di armi, la sorveglianza egiziana e israeliana dei tunnel di Rafah si è moltiplicata: spesso l’aviazione israeliana ha bombardato le gallerie individuate e nei mesi scorsi le autorità del Cairo avevano avviato perfino la costruzione di una barriera sotterranea.
MORSI VERSO LA DISTRUZIONE DEI TUNNEL. Fino al passo finale di Morsi, la demolizione dei tunnel. Una misura che rischia di gettare i palestinesi nel panico.
«La loro chiusura per noi sarà un disastro e farà felici gli israeliani», ha imprecato Abu Taha, proprietario di diverse gallerie chiuse nelle ore successive al raid del Sinai.
«La distruzione dei tunnel è una bomba. La popolazione di Gaza morirà», ha sentenziato Abu Mustafa, amministratore di un passaggio per il trasporto della benzina. Che, come tanti altri colleghi, resterà a lungo senza la sua principale fonte di reddito. Perché la riapertura dei tunnel, per ora, sembra lontana. E, agli occhi dei palestinesi, la drastica decisione di Morsi ha il sapore amaro del tradimento. (
Michele Esposito)

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