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giovedì 2 agosto 2012

TSUNAMI FILOSOFICO - I partiti? Vanno soppressi

La profezia di Weil sulla crisi politica.
Sopprimere i partiti una volta per tutte. Può stupire che il suggerimento non venga da qualche corrente antipolitica più o meno attuale (niente grillismo, o qualunquismo alla Guglielmo Giannini), ma da una filosofa con tutti i crismi, anche quelli di una dura ricerca personale, come Simone Weil.
IL MANIFESTO PER LA SOPPRESSIONE DEI PARTITI. In questi giorni Castelvecchi ha ripubblicato uno scritto della filosofa e mistica francese apparso nel 1950 (a sette anni dalla sua scomparsa) sulla rivista La table ronde.
Il Manifesto per la soppressione dei partiti politici era stato redatto nel 1943, in mezzo allo scontro feroce di imperi e ideologie, ma la sostanza del ragionamento è perfettamente valida ancora oggi. Weil che aveva criticato la Chiesa cattolica come sistema di potere, che aveva individuato nella matrice greca un'alternativa al dominio politico latino e al monoteismo ebraico, faceva i conti con la democrazia moderna a modo suo. Andando fino in fondo.

Non c'è partito senza totalitarismo


Secondo Weil, i partiti moderni, nati dal giacobinismo francese e dall'esperienza politica inglese, dovrebbero essere strumenti per il bene pubblico. Per esprimere quella che Jean-Jacques Rousseau ne Il contratto sociale, chiamava «volontà generale».
SE IL MEZZO SI TRASFORMA IN FINE. E invece, proprio perché mediano le idee singole in movimenti istituzionalizzati di più persone, da mezzi si trasformano in fini. Secondo Weil, «il totalitarismo è il peccato originale dei partiti». Di qualsiasi partito. Weil aveva in mente le gran macchine di propaganda e coercizione stalinista e nazista. Ma precisava che ogni partito, fosse anche per i più nobili scopi, tende ad aumentare all'infinito il proprio potere.
Nessun esponente politico potrebbe «concepire che il proprio partito possa avere in alcun caso troppi membri, troppi elettori, troppo denaro».
I LAMENTI DEI POLITICI CHE HANNO POCO POTERE. Spiega Weil: «In realtà nessuna quantità finita di potere potrà mai essere considerata come sufficiente. Il partito si trova quindi, per effetto dell’assenza di pensiero, in un continuo stato di impotenza, che attribuisce sempre all’insufficienza del potere di cui dispone. Se anche fosse padrone assoluto del Paese, le necessità internazionali gli imporrebbero limiti troppo ristretti».
Quest'ultima frase suona davvero profetica: quante volte abbiamo sentito gli esponenti politici italiani (l'ex premier Silvio Berlusconi, e non solo lui), lamentarsi dei limiti interni ed esterni al loro potere?

Il disinganno collettivo verso i partiti


Ecco che i partiti, proprio in quanto organismi insaziabili, diventano fini e non mezzi, macchine da propaganda, strumenti che servono a inventare ed eccitare «passioni collettive», per pura ideologia di autoconservazione.
LIBERTÀ DI MOVIMENTO AL SINGOLO. Già in un'altra opera (Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale, 1934) Weil aveva scritto che «occorre favorire tutto ciò che è suscettibile [...] di lasciare qua e là all'individuo una certa libertà di movimento all'interno dei legami con cui l'organizzazione sociale lo avvolge».
«UN BENE ALLO STATO PURO». Secondo Weil, dunque, la soluzione per 'liberare' i singoli passa attraverso la soppressione dei partiti, che definisce «un bene allo stato puro». «Perfettamente legittimo nel principio, non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi». Certo, non si tratterebbe di una soppressione violenta, spiega André Breton, padre del surrealismo, nella prefazione allo scritto che la fine dei partiti «non potrà, pena uno snaturamento assoluto, risultare da un atto di forza: non può che concepirsi al termine di un’impresa, abbastanza lunga, di disinganno collettivo».
E anche quest'ultima espressione, se si guardano i sondaggi tra l'elettorato italiano, risulta azzeccata, anzi profetica.
(Bruno Giurato)

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