(Di Paolo Madron)
Venerdì, 10 Febbraio 2012 - A vedere maneggi e ammanchi dei rimborsi elettorali ai partiti così come stanno venendo a galla in questi giorni (prima la Margherita, ora An, e siamo solo all'inizio), vien tristezza a pensare a come si è ridotta in questi anni la politica.
Da architrave del sistema democratico, almeno nell'idea che ci era stata tramandata dai padri fondatori della Repubblica, a luogo di mercimonio, di grandi e piccole ruberie perpetuate dai suoi voracissimi apparati.
DAI PARTITI AI FACCENDIERI. Solo che mentre prima la gran parte dei soldi finivano a ingrassare le casse dei partiti, adesso finiscono nelle tasche di tesorieri intraprendenti e dei loro accoliti che ne alimentano il pingue sottobosco. E che questi tesoretti accumulati (si parla di decine di milioni di euro) grottescamente amministrano anche dopo il venir meno della formazione politica che in origine li aveva generati.
La vicenda fa venire in mente le anime morte di Gogol, che non sono più solo i finti tesserati ai quali ci avevano abituati le segreterie per ingrossare i pacchetti di voti da far pesare nei congressi, ma una ridda di strani personaggi spesso scomparsi nel nulla attraverso i quali far transitare bonifici e finte consulenze. Nonché una pletora di fondazioni dalla natura più che opaca.
SOLDI AVANZATI O SPESI MALE. Il tutto condito da un vorticoso giro di denaro usato a scopi impropri rispetto al finanziamento pubblico che lo aveva generato.
In questo i partiti sono doppiamente colpevoli: hanno preso soldi dalle tasche dei contribuenti facendone un uso illecito, non li hanno spesi per le finalità cui li avevano chiesti.
Tant'è che enormi somme sono rimaste nelle disponibilità anche dopo il loro venir meno. A che cosa siano serviti lo si sta vedendo.
MONTI DOVREBBE INTERVENIRE. Ma allora il governo (e uno fatto di tecnici in questo avrebbe le mani più libere) dovrebbe subito intervenire per decreto legge, gridando all'inganno e al raggiro.
Siamo in presenza di uno Stato che ha finanziato i partiti perché facessero attività politica. Se li è ritrovati invece spregiudicati speculatori, proprietari di case, società offshore, e titolari di investimenti ad alto rischio in Norvegia o in Tanzania.
Tutte attività in cui il tornaconto personale ha preso il sopravvento, anche se è difficile pensare - come nel caso Lusi - che ciò sia avvenuto senza la connivenza di alcuno.
NESSUNO È SENZA PECCATO. Ora, complice la crisi economica, non solo la partitocrazia è stata messa ai margini, ma sta venendo meno il velo di omertà che ne copriva le malefatte.
Ne emerge un quadro desolante, che nella sua trasversalità non risparmia nessuno.
Se ne deduce che la rifondazione della politica che tutti auspicano non passa soltanto per il rinnovamento dei suoi protagonisti, ma soprattutto per quello dei meccanismi affaristici e collusivi che l'hanno sin qui sostenuta. E non basterà certo il tempo di un governo tecnico perché questo possa avvenire.
Da architrave del sistema democratico, almeno nell'idea che ci era stata tramandata dai padri fondatori della Repubblica, a luogo di mercimonio, di grandi e piccole ruberie perpetuate dai suoi voracissimi apparati.
DAI PARTITI AI FACCENDIERI. Solo che mentre prima la gran parte dei soldi finivano a ingrassare le casse dei partiti, adesso finiscono nelle tasche di tesorieri intraprendenti e dei loro accoliti che ne alimentano il pingue sottobosco. E che questi tesoretti accumulati (si parla di decine di milioni di euro) grottescamente amministrano anche dopo il venir meno della formazione politica che in origine li aveva generati.
La vicenda fa venire in mente le anime morte di Gogol, che non sono più solo i finti tesserati ai quali ci avevano abituati le segreterie per ingrossare i pacchetti di voti da far pesare nei congressi, ma una ridda di strani personaggi spesso scomparsi nel nulla attraverso i quali far transitare bonifici e finte consulenze. Nonché una pletora di fondazioni dalla natura più che opaca.
SOLDI AVANZATI O SPESI MALE. Il tutto condito da un vorticoso giro di denaro usato a scopi impropri rispetto al finanziamento pubblico che lo aveva generato.
In questo i partiti sono doppiamente colpevoli: hanno preso soldi dalle tasche dei contribuenti facendone un uso illecito, non li hanno spesi per le finalità cui li avevano chiesti.
Tant'è che enormi somme sono rimaste nelle disponibilità anche dopo il loro venir meno. A che cosa siano serviti lo si sta vedendo.
MONTI DOVREBBE INTERVENIRE. Ma allora il governo (e uno fatto di tecnici in questo avrebbe le mani più libere) dovrebbe subito intervenire per decreto legge, gridando all'inganno e al raggiro.
Siamo in presenza di uno Stato che ha finanziato i partiti perché facessero attività politica. Se li è ritrovati invece spregiudicati speculatori, proprietari di case, società offshore, e titolari di investimenti ad alto rischio in Norvegia o in Tanzania.
Tutte attività in cui il tornaconto personale ha preso il sopravvento, anche se è difficile pensare - come nel caso Lusi - che ciò sia avvenuto senza la connivenza di alcuno.
NESSUNO È SENZA PECCATO. Ora, complice la crisi economica, non solo la partitocrazia è stata messa ai margini, ma sta venendo meno il velo di omertà che ne copriva le malefatte.
Ne emerge un quadro desolante, che nella sua trasversalità non risparmia nessuno.
Se ne deduce che la rifondazione della politica che tutti auspicano non passa soltanto per il rinnovamento dei suoi protagonisti, ma soprattutto per quello dei meccanismi affaristici e collusivi che l'hanno sin qui sostenuta. E non basterà certo il tempo di un governo tecnico perché questo possa avvenire.
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