Fateci caso. La domanda che la gente di questa città si pone, oggi, con maggiore frequenza è: come sarà il nostro domani? Domanda da un milione di euro, vista la crisi, perciò proviamo a mettere un po’ d’ordine per cercare una risposta. Intanto, per ragionare su Chivasso, da quando decidiamo di partire? Dall’Unità d’Italia? Dal secondo dopoguerra? Dagli anni della prima repubblica e della partitocrazia? Dagli anni ’80? Non sembra ragionevole: troppo lontani. Crediamo francamente che, procedendo con l’accetta, l’avvenire di questa città si sia fermato al 1993, anno di svolta, in cui nacque la cosiddetta seconda repubblica e in cui si votò, per la prima volta, con un nuovo sistema elettorale e con leggi che dando maggiori poteri ai sindaci e nuove funzioni ai comuni sembrava dovessero aprire una nuova era di fiducia e speranza in una positiva trasformazione e impulso economico. E invece, fu un disastro, perché la città, nonostante o conseguentemente a queste novità, si trovò, a causa di un forte deficit culturale, impreparata a gestire il contingente come l’emergenza alluvione con il crollo del ponte sul Po, e meno ancora il nuovo assetto economico sociale determinato dalla chiusura degli stabilimenti Lancia, la transizione di una città industriale in una città post industriale: cioè a gestire il nuovo. Fu subito evidente che non sarebbe bastato un uomo solo al comando, con poteri forti neppure una nuova fase politica, per fare miracoli; occorreva un piano strategico per una città che doveva transitare dall’era industriale all’era post industriale cavalcando la ventata di novità, di tipo socio culturale, che soffiava sul paese. Tutti avremmo dovuto approfittare della rivoluzione della tanto acclamata “Seconda Repubblica” per riflettere e per darci una linea di sviluppo socio-economico con cui cambiare i meccanismi con cui funziona la nostra società, mutarne alla radice lo spirito e la mentalità, aprirci finalmente alla modernità, alle riforme, alla meritocrazia, al mercato, all’efficienza, ai comportamenti virtuosi, alla trasparenza, ai controlli indipendenti. Insomma, ormai abbiamo capito che nessuno dei nostri amministratori ha ed ha avuto una seria idea di città, un serio progetto politico-culturale sul quale lavorare per condurre verso il cambiamento la comunità in questi anni di transizione che sono diventati anni di immobilismo. Così non è cambiato nulla e ne sono uscite rinforzate le sacche più parassitarie del territorio: quelle che hanno guidato la città negli ultimi quindici anni (e qui non penso soltanto ai soliti speculatori-truffatori che continuarono a lucrare su appalti pubblici ed edilizia, ma anche alla burocrazia, a una certa imprenditoria proditoria figlia della 488 e dei vari sussidi a fondo perduto elargiti dalla politica, alle professioni, alla cultura, alla scuola, alla sanità che volevano comunque mantenere intatti privilegi e inefficienze), e quelli che attualmente la guidano, figli della stessa mentalità intellettualmente parassitaria anche se con una maglietta diversa, ma solo la maglietta tanto per distinguersi in uno schema colorato senza valori e senza ideali se non uno: il potere. Insomma, quella ventata di novità non ha influito sui comportamenti dell’intermediazione improduttiva che aveva aperta la strada per moltiplicare, anche con i nuovi padroni, senza rischi, il proprio potere e i propri guadagni. In questi anni si sono coltivati irresponsabilmente i comportamenti, la mentalità, le complicità figli di quella cultura edonista e falsamente pragmatica che nasconde la mancanza di capacità di elaborazione e che ancora oggi soffoca la città. La cultura dell’intermediazione che fa girare risorse, prebende e favori a prescindere da obiettivi, meriti e prodotti. Chi più chi meno tutti ci hanno guadagnato. Troppo facile, ora che il sistema sta crollando, prendersela solo con i politici (che tutti noi abbiamo votato) e la politica. Chi può dire io non c’ero? Certamente pochi, ma veramente pochi. E allora? Dov’è il futuro? Sia chiaro. Non siamo dei pessimisti a prescindere, ma per parlare di futuro occorre ripartire da qualche certezza, che pure ognuno ha. Le nostre certezze sono le eccellenze di questa città (la sua posizione, la sua natura, la sua storia) e un capitale umano di valore, composto da giovani e meno giovani che per capacità, creatività, entusiasmo, generosità e valori, ha studiato, quasi in clandestinità, da classe dirigente del domani. Per i quali e grazie ai quali riteniamo che, nonostante tutto, la città abbia le potenzialità per costruire un futuro riformatore. Il punto è come innescare un processo virtuoso. Pensiamo ci sia bisogno di un grande progetto di città. Un progetto condiviso. Un progetto attorno al quale si ritrovi la gente. Riscopra l’entusiasmo di essere una comunità. Intraveda, per sé e per i propri figli, i vantaggi di ritrovare un’identità collettiva. Occorre partire da un obiettivo. Un’idea di città. Che sia la luce con cui muoversi tra interessi e proposte. Isolando le combriccole di intermediatori il cui unico interesse è che la macchina cammini senza chiedersi verso quale direzione marci. Città commerciale, città di cultura, città agricola, città dei servizi, o tutto insieme o qualcos’altro? E’ importante che ogni cittadino ci creda. Si convinca. Si entusiasmi e lavori sodo, mettendoci anche qualcosa di suo perché i pranzi gratis non esistono più, per costruire questo futuro. Solo intorno a una visione condivisa, dai cittadini, sarà possibile mobilitare le energie sulle “cose”. Sì, proprio così, sulle “cose”. Ovviamente un elenco di cose non diventa sistema senza un’accorta regia. E il regista non può che essere il sindaco e il suo staff, e non chiunque essi siano, in quanto istituzione. Ma attenzione: non i soggetti politici e soprattutto gli uomini che sono stati sulla scena locale da quindici anni, e in maggioranza e in minoranza, a cui bisogna far fare un passo indietro perché non si sono mostrati adatti a governare questa nuova fase, visti gli eccessi retorici, da perenne campagna elettorale, di cui soffrono e soprattutto gli interessi personali e di gruppo che tutelano ovviamente a spese del contribuente e degli interessi generali, un passo indietro soprattutto a quegli uomini le cui unica valenza è l’essere portatori di voti per così dire … etnici. Veleni e sospetti. Vi è la necessità di cogliere l’esigenza irrinunciabile di fare un percorso comune per il bene della città. Nell’ovvio rispetto dei ruoli. Passando rapidamente ai fatti. Perché di fatti c’è assoluta urgenza. E di fatti si parla poco. Il “fare” a Chivasso è sempre stato un problema. Sembra che la nostra città sia esentata dal valutare la variabile tempo. Le idee ci sono, se andiamo a scavare. Anche belle. Affascinanti. Ma pare quasi che conti unicamente enunciarle. Poi nulla più. Passano i giorni. Gli anni. Finché le idee sono cancellate dalle emergenze (vere o strumentalizzate ad arte), e finiscono nell’album delle occasioni perdute. E nessuno può ritenersi immune da questo rischio. Vi sone poi anche i soloni portatori e padroni di voti “etnici” che addirittura mormorano l’inutilità di un progetto, contano i loro voti per le sedie (ed è vero), poi un po’ di fumo in base al colore della loro maglietta, tanti favori per loro stessi e i loro parenti, ed il resto … fuffa. L’iniziativa, però, non si può ridurre solo alla condivisione di principi tanto alti da essere scontati. Chi è contrario a efficaci forme di lotta alla criminalità e alla diffusa cultura dell’illegalità? Chi alla risoluzione del problema del riordino urbanistico del territorio e della tutela del paesaggio? Chi non è interessato ai temi della qualità della vita, dell’economia, della cultura, eccetera? Vanno condivisi programmi pluriennali perché non vi sono soluzioni istantanee. I problemi non si risolvono nel giro di un lustro. E’ necessario pertanto operare con una visione strategica. Non restare impantanati nelle divisioni di parte. Nelle grandi piccole polemiche quotidiane tra partiti, correnti, sottocorrenti. Questa è la grande sfida, l’unica possibile, che dovrà vincere la politica. Chi governerà in futuro sappia che rischierà di trovarsi all’anno zero, soprattutto se continuerà il clima di perenne campagna elettorale in cui questi strani soggetti politici hanno immerso questa città. Prima che provvedimenti straordinari occorre, insomma, un atteggiamento straordinario che dovrà essere di tipo culturale. Per fare una cosa: salvare la città. Un progetto di città è un bene comune. Determina la qualità della nostra vita. E’ la qualità di vita delle generazioni future. Ecco perché quel pezzo di classe dirigente che non ha mai condiviso le scelte e le nefandezze del passato, è chiamata all’appello. Per far sì che un domani, alla domanda che ponevamo all’inizio, come sarà il nostro futuro, si possa rispondere con la certezza che lo stiamo costruendo. Perché l’alternativa sarebbe quella di rispondere con la triste saggezza dei perdenti, che dicono che il futuro è già alle nostre spalle. A ben rivederci. Pereira |
uno spazio politico e organizzativo comune che ha come obiettivo la costruzione sul territorio di un’area politico riformista plurale aperta al contributo di tutte le espressioni laiche e liberali
Pensare Globale e Agire Locale
PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE
domenica 5 febbraio 2012
CHIVASSO: dal glorioso passato all’oscuro futuro, Sostiene Pereira
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento