Pensare Globale e Agire Locale

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giovedì 21 febbraio 2013

TUNISIA - si è dimesso il primo ministro Jebali


Fallito il tentativo di governo tecnico.
Mercoledì 20 febbraio - Il primo ministro tunisino Hamadi Jebali si è dimesso.
Lo ha annunciato lui stesso nel corso di un intervento su Hannibal Tv.
GIORNATA CONVULSA. Le dimissioni sono giunte a conclusione di una convulsa giornata, ma che lasciava prevedere che epilogo avrebbe avuto. E che infatti è culminata nell'incontro, nemmeno tanto lungo, tra lo stesso Jebali e il presidente della Repubblica Marzouki, al quale il premier ha esposto le sue motivazioni, dicendo che aveva annunciato che, in caso di fallimento del suo tentativo di governo tecnico, avrebbe lasciato l'incarico. Una proposta che il premier aveva fatto nella speranza di arginare la crisi che soffoca il Paese in campi come l'economia, la sicurezza e la stessa politica. Ma invano. Per questo il premier in tivù è apparso molto provato, ma soprattutto deluso, come se solo in pochi avessero avuto fiducia nella sua iniziativa.
NON SI RICANDIDA. Con una dichiarazione destinata a tenere banco, Jamadi Jebali ha annunciato che non si candiderà alle prossime elezioni, ma che resterà in politica. Annuncio da interpretare, viste le fortissime frizioni che lo hanno diviso dal suo partito, Ennahda, di cui è segretario generale, che di fatto ha creato le condizioni per il fallimento del suo tentativo.
ENNHADA SPACCATO. La non-ricandidatura alle politiche (di cui ha auspicato l'indizione a breve, sollecitando l'Assemblea costituente a finire finalmente il suo lavoro) vede solo due possibili sbocchi: o Jebali ha intenzione di cercare spazi lontano da Ennahda, oppure vuole restare nel partito. E questo significa schierarsi contro il presidente Rached Gannouchi, di cui era fino a poche settimane fa il delfino. La legge elettorale prevede che l'incarico sia conferito al partito di maggioranza relativa, che nonostante il calo dei consensi, resta ancora Ennahda, con i suoi 89 deputati su 217.
LAARAAYEDH O BHIRI A CAPO DEL GOVERNO. Intanto è già il momento del toto-nomine. Potrebbe essere Ali Laarayedh, potente ministro dell'Interno ed esponente di primissimo piano di Ennahda, a ricevere dal presidente della Repubblica tunisina, Moncef Marzouki l'incarico di formare il nuovo governo, posto che tale incombenza ricada su qualcuno espressione del partito di maggioranza relativa. È questa la voce raccolta in ambienti del partito, insieme a quella che vorrebbe, in alternativa, il ministro della Giustizia, Noureddine Bhiri. Sia Laarayedh che Bhiri, peraltro, sono da tempo nel mirino delle opposizioni, che ne chiedono la sostituzione con “laici”, ritenendo la gestione dei due dicasteri assolutamente deficitaria. Accuse montate all'inverosimile per la gestione di eventi delicati (l'uccisione di due esponenti dell'opposizione, Lotfi Naguedh e Chokri Belaid) e per la lentezza delle risposta della giustizia.
UN FUTURO POLITICO COMPLICATO. Ma ufficialmente, né potrebbe essere altrimenti, è compito di Marzouki dipanare il groviglio di interessi politici che sta bloccando ogni iniziativa in Tunisia e non è impresa facile. Prima o poi, le elezioni politiche si devono tenere e il quadro che ne esce è destinato ad essere certamente molto diverso da quello che ha determinato la composizione dell'Assemblea costituente, con Ennahda partito di maggioranza relativa, ma che sta perdendo la fiducia di parte del suo elettorato, al di là delle certezze granitiche espresse dai suoi dirigenti. Gannouchi in testa, che, appena sabato 16 febbraio, ha parlato del suo partito come se investito da Allah del compito di salvare la Tunisia.

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