Dopo aver condotto
una campagna elettorale “all’italiana”, a notte inoltrata il Pdl invoca il
sistema americano per evitare che venga proclamata la vittoria del
centrosinistra alla Camera. È quasi l’una di notte quando il segretario
Angelino Alfano annuncia di aver chiesto al ministro dell’Interno Cancellieri
di non proclamare il vincitore prima che si pronuncino gli Uffici
circoscrizionali e l’ufficio centrale presso la Cassazione. Il principio a cui
si appella per questa sorta di ricorso è ciò che in Usa viene definito il “too
close to call” e deriva, spiega il delfino del Cav, “dall’impossibilità di
dichiarare il vincitore considerato lo stato irrisorio di voti a livello
percentuale ed assoluto”.
RICORSO ALL’AMERICANA – Tradotto: visto
che a Montecitorio sono in gioco 340 seggi, il Pdl, prima di perderli, darà
battaglia come nel 2006, quando fece ricontare le schede finché non dovette
arrendersi all’evidenza che i voti erano maggiori per gli avversari. I dati
ufficiosi del Viminale, infatti, danno la coalizione di Bersani in vantaggio
con il 29,56% contro il 29,17 del centrodestra. Ricorso o non ricorso, il Pdl
fa finta di aver vinto le elezioni e le tenta tutte per rimandare
l’appuntamento con la verità, cioè che il partito di Berlusconi riesce solo a
evitare un clamoroso flop. Anzi, sarebbe tecnicamente corretto dire che lo
attenua, visto che la base di partenza era un misero 15%, anche se il clima che
si è respirato per tutto il giorno al quartier generale azzurro è stato di
grande euforia.
INSTABILITA’ E IL SOGNO BERLUSCONIANO
– Da Cicchitto ad Alfano, da Bruno a Gasparri, tutti gli esponenti del partito
sono passati davanti telecamere e taccuini non hanno mai voluto ammettere che
ora si apre una fase di totale instabilità per il Paese. Sarebbe, però, ingeneroso
non tributare un elogio a Berlusconi, che in un tour de force televisivo
vissuto con intensità encomiabile a sparare a zero contro il governo tecnico e
la Germania di Angela Merkel, ha saputo riaccendere l’entusiasmo del suo
elettorato deluso dagli scandali, dalla corruzione e dalle beghe interne al
partito e alla coalizione che stravinsero le elezioni del 2008 raggiungendo
quasi il 40% dei consensi.
UN POMERIGGIO IN CASA
PDL
– Eppure il pomeriggio più intenso del ventennio berlusconiano era iniziato con
pochi cronisti e ancor meno esponenti del partito, in giro per la
microtendopoli allestita dal partito nel cortile interno di via dell’Umiltà.
Nella sede storica che fu di Forza Italia, l’aria sembrava fredda, e non solo
per le gelide temperature dell’inverno romano e la totale assenza di un sistema
di riscaldamento. Il clima – almeno fino all’uscita delle prime proiezioni –
era di speranza, ma con poca convinzione. Man mano che arrivavano i dati
ufficiali dal Viminale, la fiammella negli occhi gli esponenti del Pdl si
riaccendeva. A tenere le briglia di un partito che stava rialzando la testa ci
pensava però Daniele Capezzone, che richiamava tutti all’ordine “aspettando i
numeri veri”. Il portavoce del Pdl, comunque, non disdegnava di elogiare il suo
leader, Silvio Berlusconi, per “il Miracolo compiuto” di raddoppiare i consensi
per il suo movimento in una campagna elettorale senza esclusione di colpi.
Verso sera toccava poi a Fabrizio Cicchitto ergersi a portavoce della grande
gioia di tutto il partito per un risultato che sembrava insperato soltanto due
mesi fa. Non disdegnando una stoccata al rivale del Pd, Enrico Letta, che
definisce “irresponsabile” perché a metà pomeriggio anticipava la possibilità
di nuove elezioni dato il quadro di totale ingovernabilità che si andava
profilando. Anche il capogruppo alla Camera, infatti, chiedeva di attendere
l’esito dell’ultimo seggio scrutinato prima di cantare vittoria o chiedere
nuove consultazioni.
UN PAREGGIO PER UNA
VITTORIA
– Quando nella sala stampa allestita in via dell’Umiltà entrava il segretario
Angelino Alfano, il pareggio era ormai una realtà. Ma il numero due del Pdl
escludeva categoricamente l’ipotesi di governissimi o di un ritorno alle urne
nei prossimi mesi. Anzi, rilanciava con delle stoccate a chi “diceva eravamo
morti”. Dimenticando, però, che i primi a pensarla così erano proprio lui e
alcuni big del partito, che volevano a gran voce l’indizione delle primarie per
evitare di essere “barzellettati”. Ma ora che Grillo ha definitivamente scompaginato
gli equilibri politici del nostro paese, per il Pdl si apre la sfida più
grande: trovare un futuro senza Berlusconi. E se scambiare un pareggio per una
vittoria è il primo passo di questo processo di rinnovamento, in via
dell’Umiltà, i sorrisi di questa giornata, saranno presto sostituiti da musi
lunghi e mani nei capelli.
Dario Borriello
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