Pensare Globale e Agire Locale

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lunedì 25 febbraio 2013

ITALIA - Il Pdl contesta il voto e si gioca la carta del “ricorso all’americana”


Dopo aver condotto una campagna elettorale “all’italiana”, a notte inoltrata il Pdl invoca il sistema americano per evitare che venga proclamata la vittoria del centrosinistra alla Camera. È quasi l’una di notte quando il segretario Angelino Alfano annuncia di aver chiesto al ministro dell’Interno Cancellieri di non proclamare il vincitore prima che si pronuncino gli Uffici circoscrizionali e l’ufficio centrale presso la Cassazione. Il principio a cui si appella per questa sorta di ricorso è ciò che in Usa viene definito il “too close to call” e deriva, spiega il delfino del Cav, “dall’impossibilità di dichiarare il vincitore considerato lo stato irrisorio di voti a livello percentuale ed assoluto”.
RICORSO ALL’AMERICANA – Tradotto: visto che a Montecitorio sono in gioco 340 seggi, il Pdl, prima di perderli, darà battaglia come nel 2006, quando fece ricontare le schede finché non dovette arrendersi all’evidenza che i voti erano maggiori per gli avversari. I dati ufficiosi del Viminale, infatti, danno la coalizione di Bersani in vantaggio con il 29,56% contro il 29,17 del centrodestra. Ricorso o non ricorso, il Pdl fa finta di aver vinto le elezioni e le tenta tutte per rimandare l’appuntamento con la verità, cioè che il partito di Berlusconi riesce solo a evitare un clamoroso flop. Anzi, sarebbe tecnicamente corretto dire che lo attenua, visto che la base di partenza era un misero 15%, anche se il clima che si è respirato per tutto il giorno al quartier generale azzurro è stato di grande euforia.
INSTABILITA’ E IL SOGNO BERLUSCONIANO – Da Cicchitto ad Alfano, da Bruno a Gasparri, tutti gli esponenti del partito sono passati davanti telecamere e taccuini non hanno mai voluto ammettere che ora si apre una fase di totale instabilità per il Paese. Sarebbe, però, ingeneroso non tributare un elogio a Berlusconi, che in un tour de force televisivo vissuto con intensità encomiabile a sparare a zero contro il governo tecnico e la Germania di Angela Merkel, ha saputo riaccendere l’entusiasmo del suo elettorato deluso dagli scandali, dalla corruzione e dalle beghe interne al partito e alla coalizione che stravinsero le elezioni del 2008 raggiungendo quasi il 40% dei consensi.
UN POMERIGGIO IN CASA PDL – Eppure il pomeriggio più intenso del ventennio berlusconiano era iniziato con pochi cronisti e ancor meno esponenti del partito, in giro per la microtendopoli allestita dal partito nel cortile interno di via dell’Umiltà. Nella sede storica che fu di Forza Italia, l’aria sembrava fredda, e non solo per le gelide temperature dell’inverno romano e la totale assenza di un sistema di riscaldamento. Il clima – almeno fino all’uscita delle prime proiezioni – era di speranza, ma con poca convinzione. Man mano che arrivavano i dati ufficiali dal Viminale, la fiammella negli occhi gli esponenti del Pdl si riaccendeva. A tenere le briglia di un partito che stava rialzando la testa ci pensava però Daniele Capezzone, che richiamava tutti all’ordine “aspettando i numeri veri”. Il portavoce del Pdl, comunque, non disdegnava di elogiare il suo leader, Silvio Berlusconi, per “il Miracolo compiuto” di raddoppiare i consensi per il suo movimento in una campagna elettorale senza esclusione di colpi. Verso sera toccava poi a Fabrizio Cicchitto ergersi a portavoce della grande gioia di tutto il partito per un risultato che sembrava insperato soltanto due mesi fa. Non disdegnando una stoccata al rivale del Pd, Enrico Letta, che definisce “irresponsabile” perché a metà pomeriggio anticipava la possibilità di nuove elezioni dato il quadro di totale ingovernabilità che si andava profilando. Anche il capogruppo alla Camera, infatti, chiedeva di attendere l’esito dell’ultimo seggio scrutinato prima di cantare vittoria o chiedere nuove consultazioni.
UN PAREGGIO PER UNA VITTORIA – Quando nella sala stampa allestita in via dell’Umiltà entrava il segretario Angelino Alfano, il pareggio era ormai una realtà. Ma il numero due del Pdl escludeva categoricamente l’ipotesi di governissimi o di un ritorno alle urne nei prossimi mesi. Anzi, rilanciava con delle stoccate a chi “diceva eravamo morti”. Dimenticando, però, che i primi a pensarla così erano proprio lui e alcuni big del partito, che volevano a gran voce l’indizione delle primarie per evitare di essere “barzellettati”. Ma ora che Grillo ha definitivamente scompaginato gli equilibri politici del nostro paese, per il Pdl si apre la sfida più grande: trovare un futuro senza Berlusconi. E se scambiare un pareggio per una vittoria è il primo passo di questo processo di rinnovamento, in via dell’Umiltà, i sorrisi di questa giornata, saranno presto sostituiti da musi lunghi e mani nei capelli.
Dario Borriello

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