Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


martedì 19 febbraio 2013

ITALIA - Altra tangentopoli? Forse, ma questa volta non la beviamo tutta!

Gli immacolati di ieri sono inquisiti oggi. E si percepisce che le inchieste non hanno lo stesso andamento e non vengono raccontate allo stesso modo dai giornali con proprietari “impuri”. E come nascono le notizie di reato sui grandi appalti internazionali?

A parte quei quattro grulli che a Siena hanno atteso l’ex presidente MPS e ABI, Giuseppe Mussari con le loro offese e relativo lancio di monetine, il tintinnare di manette che accompagna la campagna elettorale è fortunatamente ben diverso rispetto alla Tangentopoli dei primi anni novanta.

Non c’è, questa volta, il clima da stadio che accompagnava la notizia del nuovo arresto di un potente: una vera e propria “ola” con il pubblico esultante che si alzava in piedi per sedersi, poi, in attesa del prossimo giro. La gente sembra più riflessiva e meno incline a dare credito incondizionato ai magistrati e alle manette facili. A spiegare questo diverso atteggiamento degli italiani concorrono molti fattori.

Innanzitutto il bilancio di quella stagione che scardinò gli equilibri politici che avevano dominato il Paese per quasi mezzo secolo. Dopo venti anni siamo caduti molto più in basso. Abbiamo avuto un sistema ed una classe politica al confronto dei quali la stagione precedente era oro purissimo.

Abbiamo poi potuto toccare con mano quanto mirate e parziali fossero state le inchieste dei vari pool che si adoprarono, senza freni per la liquefazione della politica, nella caccia e messa all’indice di ladri veri e presunti. I discorsi, si dice dalle nostre parti, stanno in poco posto. O, se preferite, le chiacchiere stanno a zero. Venti anni fa le inchieste lasciarono intatte alcune forze politiche. Era talmente evidente l’intento selettivo di quelle inchieste, che i presunti ladri che ci consegnano le inchieste in corso appartengono in massima parte a quei partiti che allora la fecero franca: PDS e Sinistra DC (confluiti nel PD), la Lega, gli eredi del MSI. In compagnia, tutti costoro, del “nuovo” originato dalle inchieste: i berlusconiani (prima di Forza Italia, poi del PDL) e i seguaci del “leggendario” eroe di Mani Pulite, aduso a sfidare parimenti sintassi e decenza e approdato in politica per mettere all’incasso la popolarità discutibilmente conquistata.

Fortunatamente oggi tutti questi elementi condizionano il giudizio su ciò che sta avvenendo. E aiutano a porre attenzione a particolari che venti anni fa vennero sopraffatti dal formidabile schieramento di forze e di interessi che contribuì al Big Bang della prima repubblica.

Intanto: il comportamento non omogeneo dei magistrati e dei giornali. Ci sono inchieste che corrono e altre nelle quali chi mena la danza impone un singolare “andamento lento”. Ci sono inchieste caratterizzate da encomiabile e doveroso riserbo nel rispetto delle garanzie ed altre delle quali tutto viene messo in piazza e si può leggere sui giornali non sempre legittimamente.

Proprio i giornali ed i loro editori meritano di essere tenuti sotto osservazione. Le inchieste coinvolgono le più grandi aziende italiane, dunque quelle che attirano i maggiori appetiti anche dall’estero. In questa occasione si percepisce tutta l’assurdità di non avere mai affrontato seriamente il colossale problema del conflitto di interessi in Italia. Non lo ha fatto Berlusconi, non Bersani e meno che mai Monti con il suo governo che di conflitti se ne trascinava in quantità industriale. Una legge decente per regolamentarlo dovrebbe occuparsi non solo di Berlusconi ma di tutta la cupola della nostra Finanza e delle maggiori imprese, con le loro partecipazioni incestuose e proprietà di organi di informazione. Per questo una legge così, mille volte promessa, non è mai stata seriamente nemmeno discussa.

Ma non sarebbe male, oggi, allargare l’orizzonte fuori dai nostri confini. Grandissime aziende controllate dalla mano pubblica sono accusate di corruzione internazionale, cioè di avere versato, all’estero, tangenti per ottenere appalti. A parte l’esile confine che separa il concetto di tangente da quello di provvigione per mediazioni, è giusto perseguire i reati ove esistenti. E lasciare lavorare i magistrati senza interferenze. Ma su un aspetto è da pretendere chiarezza, senza minare l’autonomia delle toghe: la cosidetta notizia di reato. Come nascono le inchieste che mettono fuori gioco, per i grandi appalti internazionali, le nostre più grandi imprese? Possiamo escludere l’azione dei servizi di qualche paese amico? La storiella di qualche lettera anonima o di qualche pentito di turno, francamente non è più spendibile.

Infine, da tutte queste inchieste emerge nuovamente una delle più grandi anomalie del nostro sistema giustizia: l’abuso aberrante della custodia cautelare. Senza gli arresti il più delle volte ingiustificati, il clamore non sarebbe così devastante (per l’interesse pubblico). Pericolo di fuga, reiterazione del reato, inquinamento delle prove, dovrebbero essere reali, non individuabili per teoremi. E, invece, la custodia cautelare è quasi l’unica pena certa che il sistema riesca a comminare. Peccato che sia illegittima (in quanto pena).

Nicola Cariglia

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