«Non ci sono novità. Non chiederò nulla, non voglio niente». Una volta tanto la Fiat non si presenta di fronte al governo con il cappello in mano e le parole pronunciate ieri dall’Ad del Lingotto, Sergio Marchionne, in merito al faccia a faccia di venerdì prossimo con il premier Mario Monti fanno tirare un sospiro di sollievo a molti contribuenti. Eh sì, perché da quando esiste, la Fiat ne ha pappati di soldi pubblici. Tantissimi e sotto innumerevoli forme. Da tempo gli studiosi fanno i conti e le cifre parlano di qualcosa come 200mila miliardi di vecchie lire, ossia circa 100miliardi di euro che nel tempo sarebbero volati dalle casse dello Stato ai forzieri della casa torinese. In sostanza, una cifra pari a cinque manovre salva-Italia del governo Monti.
CENT’ANNI DI FAVORI – Si potrebbe tornare alla guerra in Libia di 100 anni fa e alle lucrose commesse pubbliche per il fondatore di Fiat, Giovanni Agnelli. Oppure ricordare gli affari fatti grazie alla Prima guerra mondiale o ancora rievocare la grande crescita negli anni del protezionismo autarchico fascista. E la guerra in Etiopia del ‘35? I contratti gonfiavano ogni volta il fatturato, la manodopera aumentava e in fabbrica il trattamento degli operai non era certo morbido (basta pensare al «sistema Bedaux» che instaurava il controllo cronometrico del lavoro). I rapporti perversi tra Fiat e politica sono raccontati fin dalle origini in modo efficace da Vladimiro Giacché nello studio «Cent’anni di improntitudine. Ascesa e caduta della Fiat», pubblicato su «Proteo». Ma venendo a tempi più recenti, come non citare il grazioso dono di Alfa Romeo fatto all’avvocato Agnelli dall’Iri di Prodi nell’86? E i 328miliardi di lire in conto capitale finiti nelle casse Fiat tra il 1996 e il 2000 grazie alla legge 488?
IL COSTO DEGLI AMMORTIZZATORI – Un costo elevatissimo è pure quello sostenuto dallo Stato per gli ammortizzatori sociali. Nel suo libro «Licenziare i padroni?» (dati fino al 2004), il vicedirettore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti scriveva: «Negli ultimi dieci anni le principali società italiane del gruppo Fiat hanno fatto 147,4 milioni di ore di cassa integrazione. Se assumiamo un orario annuo per dipendente di 1.920 ore, l’uso della cassa integrazione equivale a un anno di lavoro di 76.770 dipendenti. E se calcoliamo in 16 milioni annui la quota dell’integrazione salariale a carico dello Stato nel periodo 1991-2000, l’onere complessivo per le casse pubbliche risulta di 1228miliardi». Ai quali si aggiungono altri 700miliardi come «costo del prepensionamento di 6.600 dipendenti avvenuto nel 1994: e atri 300miliardi se ne sono andati per le indennità di 5.200 lavoratori messi in mobilità nel periodo».
L’ADDIO A TERMINI IMERESE – Poi ci sono stati gli aiuti per gli impianti del Lingotto nel Sud Italia. I decreti e i «piani di sviluppo» ad hoc. Gli incentivi alla rottamazione che hanno drogato il mercato e invogliato Fiat a dormire sugli allori. Le autostrade costruite per far contenti gli Agnelli mentre nelle città si smantellavano i tram e si faceva largo alle auto. In ultimo, ha lasciato il segno l’addio di Marchionne allo stabilimento di Termini Imerese. Avviato nel 1970 su terreni regalati dalla Regione Sicilia, il sito produttivo è costato negli anni allo Stato tra i 7 e gli 8 miliardi di euro. Risultato? La chiusura a fine 2011 e la disperazione per quasi 2mila lavoratori tra stabilimento e indotto. Adesso sembra che il vampiro del Lingotto abbia allentato il morso alla giugulare dello Stato. Dopotutto, non c’è più niente da succhiare. (Ulisse Spinnato Vega – Avanti on line)
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