Pensare Globale e Agire Locale

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lunedì 11 marzo 2013

Ue - Lo spettro della Grande Guerra

Nel 1913 l'Europa andava incontro al primo conflitto mondiale. Ora, a un secolo di distanza, «i paralleli sono sempre più evidenti». Parola di Juncker.
di Pierluigi Mennitti
Lunedì, 11 Marzo 2013 – Da Berlino - Uno spettro si aggira per l'Europa del 2013, dilaniata dalla crisi economica che ha corroso le fondamenta della casa comune e divaricato gli interessi dei Paesi del Nord e del Sud.
È il fantasma del 1913, l'anno prima della Grande Guerra, il conflitto mondiale che segnò la fine della supremazia europea e aprì le porte a nuovi attori dell'ordine globale. Jean-Claude Juncker, primo ministro del Lussemburgo ed ex capo dell'Eurogruppo, lo aveva evocato già prima di Natale, quando sugli scaffali delle librerie tedesche era uscito un volume di saggistica destinato a diventare in breve tempo un bestseller.
«I DEMONI NON SONO SCOMPARSI». Il libro si intitola semplicemente 1913, lo ha scritto un secolo dopo il giornalista e storico dell'arte tedesco Florian Illies, facendo rivivere le effervescenze e le follie, gli eccessi e i sentimenti di incosciente autodistruzione che animavano la scena culturale e politica europea, da Londra a Parigi, da Mosca a Berlino, da Vienna a Venezia, nell'anno che precedette la catastrofe: si faceva e si viveva come se non ci fosse più un domani.
Juncker, che il tedesco lo legge e lo parla correntemente, era rimasto impressionato nel leggere quelle storie alla luce delle vicende contemporanee dell'Europa e, ora che ha abbandonato la responsabilità e la fatica di tenere uniti gli scapigliati rappresentanti dei Paesi membri dell'euro, ha rinnovato il suo allarme in un'intervista allo Spiegel.
«Si sbaglia di grosso chi crede che l'eterna questione della guerra e della pace in Europa sia stata risolta per sempre», ha dichiarato al settimanale tedesco, «i demoni non sono scomparsi, sono semplicemente assopiti».
LE TENSIONI IN ITALIA E IN GRECIA. Gli interessi economici divergono, gli egoismi nazionali prevalgono, il senso di un destino comune svanisce: la crisi ha fatto saltare gli equilibri e le solidarietà, gli spread fra i titoli pubblici si muovono come le vecchie truppe sui confini di guerra, un pericoloso Risiko che, se non governato, rischia di diventare qualcosa di più pericoloso di un gioco da tavolo per studenti universitari annoiati. «Scorgo paralleli sempre più evidenti con l'anno 1913», ha proseguito Juncker, «i rapporti fra i Paesi europei mi ricordano drammaticamente quelli di un secolo fa, e le campagne elettorali in Grecia e in Italia stanno lì a testimoniarlo: di colpo sono emersi risentimenti che si pensavano definitivamente sepolti».

All'orizzonte l'ennesima settimana decisiva per l'Europa

Suggestioni storico-letterarie che in bocca a un politico di lungo corso ed esperienza suonano come un allarme da non sottovalutare.
Le sfide dell'Europa sono ancora tutte da affrontare e da vincere, la crisi che solo qualche mese fa, con troppo ottimismo, era stata data per superata è tornata con tutta la sua violenza distruttiva: le economie di troppi Paesi sono in recessione, la disoccupazione continua a divorare le speranze dei giovani, le riforme segnano il passo sotto il peso delle politiche di austerity, difficoltà impreviste toccano anche coloro che pensavano di essere al riparo, le elezioni nei Paesi deboli aumentano l'incertezza mentre in quelli ricchi cresce la tentazione di rinchiudersi in un'isola virtuosa.
E l'Europa si è ritrovata di fronte all'ennesima settimana decisiva, con gli occhi puntati sulle difficoltà italiane nella costruzione di un nuovo governo.
IRLANDA E PORTOGALLO CHIEDONO PIÙ TEMPO. In attesa del Consiglio europeo del 14 e 15 marzo, gli sherpa di Bruxelles sono anche alla ricerca di scappatoie regolamentari per superare senza troppi danni le questioni più urgenti.
Iranda e Portogallo hanno chiesto una dilazione sui tempi di restituzione dei prestiti ottenuti in passato, ma la Germania ha il problema che una tale concessione dovrebbe teoricamente passare dall'approvazione del Bundestag: una sciagura per Angela Merkel, impegnata in campagna elettorale a difendere la linea del rigore a tutti i costi. Così, secondo l'Handelsblatt, «sarebbe allo studio la possibilità di bypassare il voto del parlamento tedesco, aggrappandosi all'escamotage che un terzo di quei prestiti sia stato attinto dal fondo di salvataggio Efsm, i cui meccanismi di controllo possono essere modificati in qualsiasi momento dai ministri finanziari dei singoli membri dell'Eurozona».
GERMANIA, AVANZANO GLI EUROSCETTICI. Rimarrebbe il problema dei restanti due terzi, che Dublino e Lisbona hanno ottenuto dal fondo Efsf, su cui il monitoraggio del Bundestag è stato assicurato da una sentenza della Corte costituzionale tedesca. I partiti sono divisi, le opposizioni hanno già dichiarato di essere contrarie e nelle stesse forze di maggioranza cresce l'insofferenza verso tali manovre.
La campagna elettorale bussa alle porte, un recente sondaggio ha evidenziato che un quarto dei tedeschi sarebbe disposto a votare un partito anti-euro, qualora si presentasse alle elezioni. E dietro le quinte si muove la macchina organizzativa dell'Alternative fur Deutschland, il movimento di economisti e giornalisti che vuol sfidare Merkel da destra, caldeggiando l'uscita della Germania dall'euro. Non bisogna davvero essere dei raffinati politici per intravedere i fantasmi del 1913.

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