Nell'immediato dopoguerra il
filosofo francese Alexandre Kojève aveva suggerito la creazione di un’unione
dei paesi mediterranei accomunati da cultura e interessi. Alla luce della
problematica ascesa della Germania come potenza continentale, questa idea potrebbe
tornare attuale.
Giorgio
Agamben 26 marzo 2013 LIBERATION Parigi
Nel 1947 un filosofo,
che era anche un alto funzionario del governo francese, Alexandre Kojève,
pubblicò un testo dal titolo L'impero
latino, sulla cui attualità conviene oggi tornare a riflettere. Con
singolare preveggenza, l'autore affermava che la Germania sarebbe diventata in
pochi anni la principale potenza economica europea, riducendo la Francia al
rango di una potenza secondaria all' interno dell' Europa continentale.
Kojève vedeva con
chiarezza la fine degli stati-nazione che avevano segnato la storia dell'
Europa: come l' età moderna aveva significato il tramonto delle formazioni
politiche feudali a vantaggio degli stati nazionali, così ora gli stati-nazione
dovevano cedere il passoa formazioni politiche che superavano i confini delle
nazioni e che egli designava col nome di "imperi".
Alla base di questi
imperi non poteva essere, però, secondo Kojève, un' unità astratta, che prescindesse
dalla parentela reale di cultura, di lingua, di modi di vita e di religione:
gli imperi – come quelli che egli vedeva già formati davanti ai suoi occhi, l'
impero anglosassone (Stati Uniti e Inghilterra) e quello sovietico dovevano
essere «unità politiche transnazionali, ma formate da nazioni apparentate». Per
questo, egli proponeva alla Francia di porsi alla testa di un "impero
latino", che avrebbe unito economicamente e politicamente le tre grandi
nazioni latine (insieme alla Francia, la Spagna e l' Italia), in accordo con la
Chiesa cattolica, di cui avrebbe raccolto la tradizione e, insieme, aprendosi
al mediterraneo.
La Germania
protestante, egli argomentava, che sarebbe presto diventata, come di fatto è
diventata, la nazione più ricca e potente in Europa, sarebbe stata attratta
inesorabilmente dalla sua vocazione extraeuropea verso le forme dell' impero
anglosassone. Ma la Francia e le nazioni latine sarebbero rimaste in questa
prospettiva un corpo più o meno estraneo, ridotto necessariamente al ruolo
periferico di un satellite.
Proprio oggi che l'
Unione europea si è formata ignorando le concrete parentele culturali può
essere utile e urgente riflettere alla proposta di Kojève. Ciò che egli aveva
previsto si è puntualmente verificato. Un' Europa che pretende di esistere su
una base esclusivamente economica, lasciando da parte le parentele reali di
forma di vita, di cultura e di religione, mostra oggi tutta la sua fragilità,
proprio e innanzitutto sul piano economico.
Qui la pretesa unità
ha accentuato invece le differenze e ognuno può vedere a che cosa essa oggi si
riduce: a imporre a una maggioranza più povera gli interessi di una minoranza
più ricca, che coincidono spesso con quelli di una sola nazione, che sul piano
della sua storia recente nulla suggerisce di considerare esemplare. Non solo
non ha senso pretendere che un greco o un italiano vivano come un tedesco; ma
quand' anche ciò fosse possibile, ciò significherebbe la perdita di quel
patrimonio culturale che è fatto innanzitutto di forme di vita. E una politica
che pretende di ignorare le forme di vita non solo non è destinata a durare,
ma, come l' Europa mostra eloquentemente, non riesce nemmeno a costituirsi come
tale.
Se non si vuole che
l' Europa si disgreghi, come molti segni lasciano prevedere, è consigliabile
pensare a come la costituzione europea (che, dal punto di vista del diritto
pubblico, è un accordo fra stati, che, come tale, non è stato sottoposto al
voto popolare e, dove loè stato, come in Francia,è stato clamorosamente rifiutato)
potrebbe essere riarticolata, provando a restituire una realtà politica a
qualcosa di simile a quello che Kojève chiamava l'“Impero latino”.
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