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mercoledì 27 marzo 2013

INDIA – Parigi/Nuova Delhi, il caso degli altri marò


A Bangui due indiani sono morti. Uccisi dai francesi. Ma Hollande ha saputo gestire scuse e dossier.
di Giovanna Faggionato
Ci sono incidenti simili che producono reazioni diverse.
Il 25 marzo, mentre i marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone rivolgevano dall'India un appello al parlamento italiano chiedendo di risolvere la loro “tragedia”, ad altre latitudini il destino confezionava una tragedia parallela.
LA TRAGEDIA DI BANGUI. All'aeroporto di Bangui, capitale della Repubblica centrafricana, le truppe francesi hanno ucciso per errore due cittadini indiani.
Il Paese era nel caos dal giorno precedente, domenica 24 marzo, quando i ribelli del gruppo Seleka hanno espugnato la capitale, occupando il palazzo presidenziale con la forza e trasformando la città in una terra di saccheggio.
La Francia, assieme al Ciad, tradizionale protettore della Repubblica centrafricana, ha condannato il golpe e inviato rapidamente le truppe per mettere in sicurezza l'aeroporto. Ma, nella confusione, i soldati francesi hanno sparato contro due cittadini indiani innocenti e ne hanno feriti altri sei, subito ricoverati in ospedale e assistiti da medici francesi.
I due indiani caduti sono lavoratori immigrati, impiegati in una società del posto. Indiani alla ricerca di fortuna. Presumibilmente, non tanto diversi da due pescatori intenti a guadagnarsi da vivere al largo delle coste del Kerala, uccisi nel febbraio 2012 dai fucilieri italiani perché scambiati per pirati.
GUERRA CIVILE. Il contesto dei due episodi, certo, è diverso. Nella Repubblica Centrafricana c'è una guerra civile in corso. Secondo la versione degli europei, quando la vettura su cui viaggiavano le vittime è arrivata vicino alla postazione dei soldati di Parigi, i militari hanno sparato alcuni colpi di avvertimento. Ma l'auto non si è fermata. Anzi, secondo i francesi, avrebbe proseguito la corsa «ad alta velocità».
A questo punto, l'esercito ha deciso di aprire il fuoco. Eppure, almeno finora, dal Subcontinente non si è levata la rabbia che accompagna ormai da mesi la questione dei marò italiani.
Forse perché i francesi sono stati accorti nella gestione della pratica.

Scuse immediate, inchiesta aperta e interessi protetti

Il presidente francese François Hollande ha subito chiamato il primo ministro indiano Manmohan Singh per porgere le proprie scuse e condoglianze. E gli ha anche inviato una lettera. Hollande ha dichiarato la ferma volontà di fare chiarezza sull'episodio, mentre Singh ha replicato chiedendo garanzie di sicurezza per i 100 connazionali ancora nel Paese africano.
INCHIESTA AD ALTI LIVELLI. A meno di 24 ore di distanza, il 26 marzo, mentre il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi dava le dimissioni, la Francia assicurava all'India l'apertura di un'inchiesta ad alti livelli.
Parallelamente il ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, intratteneva un colloquio con il collega indiano A.K Antony per esprimergli le condoglianze e il rammarico per il fatale errore. E, sussurrano le malelingue, anche per proteggere gli accordi commerciali stretti tra i due Stati in materia di armamenti.
IL BUSINESS DEI RAFALE. A febbraio 2012, il Subcontinente ha infatti ipotecato 10 miliardi di euro per l'acquisto di 126 caccia Rafale made in France, voltando le spalle ai Typhoon fabbricati dalla britannica Bae Systems e dall'italiana Finmeccanica.
Nicolas Sarkozy riuscì insomma a far impegnare gli indiani ufficialmente.
COPIONE CHE SI RIPETE. Un anno dopo, con Hollande, il copione si è ripetuto. Mentre Finmeccanica si è vista bloccare l’acquisto di 12 elicotteri per un giro di presunte tangenti all'ex capo dell'aeronautica indiana, Parigi stringeva nuovi patti.
Il gruppo Eurocopter ha piazzato sette elicotteri Ec135 (spera di venderne fino a 50), mentre il presidente socialista ha proseguito il lavoro del suo predecessore, lavorando per chiudere l'affare Rafale.
Insomma, la Francia al pari dell'Italia con l'India si gioca miliardi di commesse. Ed è quindi cruciale per Parigi che la vicenda dei due cittadini indiani caduti sotto il fuoco amico sia gestita nel modo più delicato e cauto possibile.
LA SOBRIA REAZIONE INDIANA. Finora, la strategia sembra aver dato i suoi risultati. La reazione degli indiani è stata, infatti, assai pacata.
La notizia dei due concittadini morti non ha fatto scalpore. Su uno dei maggiori quotidiani del Subcontinente, The Hindu, qualche commentatore ha mostrato rabbia: «Dobbiamo processare le loro truppe». Ma altri hanno risposto: «Finiamola di essere così, impariamo a comportarci sul piano internazionale».
Insomma, almeno per il momento c'è stato poco spazio a strumentalizzazioni. Tra Francia e India sembrano prevalere chiarezza nelle catene di comando e rispetto reciproco. Una trasparenza che certamente è mancata nel caso dei marò. E il loro esilio forzato a Delhi ne è la conseguenza.

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