Pensare Globale e Agire Locale

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lunedì 2 aprile 2012

BIRMANIA: Quanto vale San Suu Kyi

Perché dopo il voto la Birmania farà affari con Usa e India.

Un Paese poverissimo anche se ricco di risorse, che per oltre 20 anni ha vissuto all'ombra della Cina, vorace mungitrice delle sue riserve di petrolio, minerali e legname.
Quando, prima gli Usa e poi l'Unione europea imposero dure sanzioni internazionali alla Birmania, la nomenclatura del Dragone brindò alla vittoria.
«Se i generali saranno soli, resteremo noi ad appoggiarli», sentenziarono a Pechino dopo il colpo di Stato del 1988, sapendo bene che un regime manovrabile a Yangon, oltre che a un grande valore economico avesse soprattutto un'enorme valenza geo-strategica.
SUU KYI, L'ERA DEL CAMBIAMENTO. Nel 2012, con la «nuova era» inaugurata dall'ingresso della dissidente Aung San Suu Kyi in parlamento - la Lega nazionale per la democrazia ha comunicato di aver vinto almeno 43 dei 44 seggi in palio nelle elezioni del 1 aprile -, l'orbita della Birmania torna a girare a Ovest, verso l'India e le potenze occidentali, nel solco del suo vecchio percorso da ex colonia britannica, anche per volere dei generali.
GAS, PETROLIO E GIACIMENTI. Non a caso, a dicembre 2011, il segretario di Stato americano Hillary Clinton tornò in Birmania, dopo 50 anni di vuoto diplomatico tra i due Paesi.
In ballo, per l'Europa e per gli Usa, non c'erano soltanto i giacimenti di gas più grandi del Sud Est asiatico e le riserve di petrolio, stimate in svariati miliardi di barili.
Metano, oro nero e pregiate foreste tropicali: le risorse della Birmania
Oltre al metano, all'oro nero e alle pregiate foreste tropicali di legno teak, appetibili per gli affamati vicini di casa, il suolo del Myanmar (come i generali hanno ribattezzato la Birmania) ospita preziosi rubini e minerali ambiti dalle multinazionali straniere, tedeschi e americani in prima linea. Ed è anche il passaggio obbligato della Cina verso l'Oceano indiano e l'Occidente.
NEL 1990 PAESE IN REGALO ALLA CINA. Tanto vale l'entrata della 66enne premio Nobel per la Pace nelle stanze del potere. E, per i generali 80enni al comando, la svendita del loro Paese a nuovi interessatissimi acquirenti.
Nel 1990 militari lo avevano già regalato alla Cina, accettando, per arricchirsi smodatamente, di diventare il cortile di casa di Pechino. Nel 2011, il do ut des è stato ripetuto dal primo ministro Thein Sein, dopo essere stato eletto capo di Stato dalla giunta che lo regge.
FERMATA LA GRANDE DIGA NEL NORD. Prima di concedere all'opposizione di Suu Kyi l'accesso a una quota minoritaria di seggi nel parlamento, a gennaio il riformista Sein aveva liberato centinaia di prigionieri politici e aperto al diritto di sciopero.
Inoltre aveva bloccato la costruzione della diga idroelettrica di Myitsone, nel Nord della Birmania, in mano al colosso cinese China power investment corporation, un progetto da 3,6 miliardi di dollari.
Uno schiaffo a Pechino che, di pari passo con il nuovo corso deciso dai militari, ha fatto subito allentare le sanzioni europee, aprendo anche alla possibilità, ventilata dalla comunità internazionale, di revocare a Yangon il blocco all'export di materie prime e degli asset bancari.
A SINGAPORE L'ALLEANZA CON L'OVEST. Per dimostrare che non bleffa, il passo decisivo per favorire gli investimenti stranieri Sein l'ha fatto il 1 aprile, a elezioni in corso, dando mandato di lasciare fluttuare in modo controllato la moneta nazionale (kyat), così da arrivare progressivamente a un tasso di cambio unico, che riduca l'enorme disparità tra il valore ufficiale della valuta (sei kyat per dollaro) e quello del mercato nero (800 kyat per dollaro).
La testa di ponte per l'inedita alleanza dei generali di Myanmar con l'Occidente sarà, almeno a giudicare dagli ultimi, frenetici movimenti di delegazioni tra le due sponde, la città Stato di Singapore, che dopo la Cina è il secondo importatore di Yangon, con un volume di commercio, nel 2011, di 1,3 miliardi di dollari.
Anche l'India vuole rinsaldare gli antichi legami economici
In visita a gennaio a Singapore, Sein accennò apertamente alla riorganizzazione economica, in parallelo con il processo democratico avviato nel Paese.
«Farò tutto il possibile perché la democrazia fiorisca, assicurando un futuro alla nostra gente», dichiarò il premier, firmando un accordo di cooperazione per l'assistenza tecnica nei settori bancario, finanziario e di pianificazione urbana.
Un mese dopo, una delegazione di 74 compagnie dell'isola volò in Birmania per firmare contratti e «fare rete». Un ruolo che, oltre alla vicina Tigre asiatica, ora anche l'India è decisa a svolgere in primo piano, rinsaldando gli antichi legami economici con l'ex colonia britannica.
DALLA CINA 15 MLD DI DOLLARI. Già in passato, nonostante l'isolamento internazionale, New Delhi è stata abile nel mantenere un piede nel Paese, ampliando, negli ultimi anni, gli investimenti verso Myanmar.
Così, oltre ai gasdotti e agli oleodotti in costruzione verso la Cina, attraverso il porto di Sittwe è in progettazione un gasdotto verso l'India.
In Birmania, inoltre, New Delhi vuole accrescere la sua partecipazione statale e privata negli appalti per strutture e infrastrutture, ma deve sfidare Pechino che con un volume d'investimento di circa 15 miliardi di dollari all'anno, finora è stato il maggiore sostenitore di Yangon, costruendo strade, ferrovie e case nel Paese.
SERVONO SERVIZI E INFRASTRUTTURE. Ma ora che i generali sono pronti a voltare le spalle al Dragone, e che Suu Kyi, figlia dell'ambasciatrice birmana in India, è vicina a New Delhi, inevitabilmente l'ago della bilancia di Myanmar è destinato a spostarsi verso Ovest.
Anche se finora Sein è stato prudente, continuando a stringere accordi commerciali e di difesa con Pechino, nella scatola vuota della Birmania ci sono ancora decine di infrastrutture e servizi da costruire.
Strozzato al 3% dall'embargo - il ritmo di crescita più basso della regione - il Prodotto interno lordo non può che crescere. Soprattutto se Myanmar, da protettorato cinese, è pronta a trasformarsi in uno degli Stati cuscinetto atlantici, strategico per bloccare l'espansione della Cina almeno a Sud Est.

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