L’impennata della disoccupazione
giovanile ha finalmente convinto i governi europei a mettere la creazione di
posti di lavoro in cima alle priorità. Ma le tradizionali misure di stimolo non
bastano.
Fiona Ehlers – Markus Dettmer – Sven Boll – Cornelia Schmergal
– Manfred Ertel – Helene Zuber
22 maggio 2013 DER SPIEGEL Amburgo
Stylia Kampani, 23
anni, ha fatto tutto quello che doveva, ma ancora non sa quale futuro
l’aspetta. Ha completato i suoi studi in relazioni internazionali in Grecia, il
suo paese, per poi trascorrere un anno all’università di Brema in Germania. Ha
terminato un tirocinio presso il ministero degli esteri di Atene e ha lavorato
per l’ambasciata greca a Berlino. Adesso è stagista non retribuita presso il
quotidiano ateniese Kathimerini. E poi? Che cosa farà dopo? “Bella domanda… non
lo so”, risponde. “Nessuno dei miei amici crede che avremo un futuro o potremo
condurre una vita normale. Quattro anni fa le cose non stavano così”.
Già, quattro anni fa,
quando la crisi non era ancora iniziata. Da allora il governo greco ha
approvato una serie di programmi che prevedono misure di
austerity particolarmente severe nei confronti dei giovani. Il tasso
di disoccupazione giovanile ha da tempo superato il 50 per cento. La situazione
è altrettanto drammatica in Spagna,
Portogallo
e Italia.
Secondo Eurostat, l’ufficio di statistica dell’Unione europea, il tasso di
disoccupazione tra i giovani dell’Ue è ormai al 23,5 per cento. In
Europa si va delineando una “generazione
perduta”. E i governi europei restano confusi quando sentono chi
dice di non voler lasciare la Grecia, come Alexandros, neolaureato
all’università di Atene, secondo cui “l’incertezza continua ci rende fiacchi e
depressi”.
Invece di varare
programmi di formazione efficaci per preparare i giovani a una vita
professionale post-crisi, le élite politiche del continente hanno preferito
combattere le loro vecchie battaglie ideologiche. Alla Commissione europea ci
sono state molteplici richieste di programmi tradizionali di stimolo economico.
I governi dei paesi più indebitati hanno prestato maggiore attenzione allo status
quo dei loro elettori più importanti, quelli di una certa età. Nel frattempo le
nazioni creditrici del nord si sono opposte a qualsiasi cosa comportasse una
spesa. Così l’Europa ha sprecato tempo prezioso, almeno fino all’inizio di
questo mese, quando la disoccupazione giovanile nella fascia di età 15-24 anni
in Grecia ha superato la soglia record del 60 per cento.
Adesso l’Europa si
affanna per risolvere il problema. La disoccupazione giovanile sarà al primo
posto nell’agenda del vertice dei leader europei di giugno. Il nuovo primo
ministro italiano Enrico Letta ha chiesto che la lotta contro la disoccupazione
giovanile diventi per l’Ue una priorità.
Dalle capitali
europee sono arrivate grandi promesse, ma finora nessun fatto concreto. A
febbraio il Consiglio europeo ha approvato
lo stanziamento di altri sei miliardi di euro per combattere la disoccupazione
giovanile entro il 2020. Ma poiché gli stati membri stanno ancora discutendo su
come spendere i soldi, il pacchetto non potrà essere allocato prima del 2014.
Altrettanto confusa è
una recente iniziativa
franco-tedesca: Berlino e Parigi vogliono incoraggiare i datori di
lavoro dell’Europa meridionale ad assumere e formare i giovani fornendo loro
prestiti tramite la Banca europea di investimento (Bei). Il progetto dovrebbe
essere svelato alla fine di maggio. La ministra del lavoro tedesca Ursula von
der Leyen ne è una dei più strenui sostenitori.
Gli sforzi tedeschi
si sono limitati all’assunzione di lavoratori qualificati provenienti da
Grecia, Spagna e Portogallo. Adesso però i politici stanno iniziando a rendersi
conto che un alto tasso di disoccupazione ad Atene e Madrid costituisce un
pericolo per la democrazia e potrebbe rappresentare la fine per la zona euro.
Per riconoscere il problema serve una certa maturità. “Ci occorre un programma
che cancelli la disoccupazione giovanile nell’Europa meridionale. Il presidente
della Commissione europea José Manuel Barroso ha fallito”, dice l’ex
cancelliere tedesco Helmut Schmidt, oggi 94enne. “È uno scandalo senza
precedenti”.
Anche secondo gli
economisti è ora che l’Europa faccia qualcosa. “Le prospettive a lungo termine
dei giovani dei paesi in crisi sono estremamente nere. Questo aumenta il
rischio di radicalizzazione di un’intera generazione”, avverte Joachim Möller,
direttore dell’Istituto tedesco per la ricerca sull’occupazione, un think tank
che si occupa di mercato del lavoro.
La proposta
franco-tedesca per aiutare i datori di lavoro dell’Europa meridionale ne è la
dimostrazione. In base a tale piano i sei miliardi di euro del programma di
aiuto ai giovani dell’Unione europea sarebbero distribuiti alle varie aziende
tramite la Bei per poi moltiplicarsi, come per magia. In definitiva, ipotizzano
gli autori il piano, si potrebbe mettere in circolazione il decuplo di quella
cifra, ponendo fine alla stretta creditizia che afflligge le piccole imprese
dell’Europa meridionale.
I soldi non fanno l'occupazione
Per come stanno le
cose ci sono molti dubbi sull’utilità di una grossa iniezione di contanti. I
primi provvedimenti di Bruxelles erano inefficienti e si conclusero con un
nulla di fatto. L’anno scorso la Commissione europea aveva promesso ai paesi in
crisi che avrebbero potuto spendere gli avanzi dei fondi strutturali per varare
progetti finalizzati a creare posti di lavoro per i giovani disoccupati. Circa
sedici miliardi di euro erano stati richiesti entro l’inizio di quest’anno, con
l’idea di utilizzarli per aiutare 780mila giovani. Ma le esperienze sono state
negative e i successi concreti pochi.
Secondo la bozza di
un rapporto che il governo tedesco intende discutere a giugno, la Germania
vuole appoggiare i paesi colpiti dalla crisi “incorporando nei rispettivi
sistemi elementi di duplice istruzione e formazione professionale”. Il governo
ha in mente la creazione di un nuovo “Ufficio centrale per la cooperazione
internazionale dell’istruzione” presso l’Istituto federale per l’istruzione e
la formazione, che potrebbe inviare consulenti nei paesi in crisi quando
necessario. Per il nuovo ufficio sono già state approvate dieci nuove
posizioni.
La chiave per combattere
la disoccupazione giovanile consiste nel riformare un mercato del lavoro
frammentario. Ma, come dimostra un rapporto interno del governo tedesco, i
paesi fortemente colpiti dalla crisi non hanno fatto quasi nessun passo avanti
da questo punto di vista. Secondo il rapporto il Portogallo potenzialmente
avrebbe “ulteriori riserve di efficienza nel suo sistema scolastico”, mentre la
Grecia sta mostrando soltanto pochi segnali di progresso, tra cui un piano per
“aiutare le giovani donne disoccupate”.
I problemi del
mercato del lavoro sono evidenti in Italia, dove i lavoratori più anziani hanno
contratti a tempo indeterminato e si aggrappano al loro posto di lavoro
rendendolo inaccessibile ai lavoratori più giovani. L’umore che circola tra i
giovani è condensato nello slogan stampato sulla maglietta di un manifestante a
Napoli: “Non voglio morire di incertezza”.
Ad Atene intanto
Stylia Kampani sta pensando di ricominciare da zero e traslocare in Germania,
stavolta per restarci. (Traduzione di Anna
Bissanti)
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