Nel
discorso del nuovo premier manca un messaggio chiave
Se la
sensazione generata dall’intervento sulla fiducia del senatore Monti alla
camera nel 2011 era di grande speranza per la fine della stagione politica,
quella che ha accompagnato l’ascolto dell’intervento di Enrico Letta è stata di
sollievo per lo scampato pericolo della deflagrazione generale del sistema
istituzionale.
Però,
nonostante la visione a 360° (senza ironia!) del discorso di Letta rispetto
alla tigna professorale di Monti. Nonostante la grande boccata d’ossigeno che
offre a un paese fiaccato e impaurito, non è scattata la potenza motivante del
we can!
Limiti
dell’oratoria? O limiti dell’approccio narrativo? Come risulta evidente dalle
prime pagine dei quotidiani o ascoltando i tg, nel discorso di Letta manca un
messaggio chiave, quello che dà corpo a un obiettivo facilmente riconoscibile
nella nostra vita quotidiana. Un valore simbolico che motivi all’adesione
entusiastica, yes we can.
Non
c’è, per intenderci, il corrispettivo dell’Imu per lo schieramento che fa capo
a Berlusconi.
Non che
manchino i temi (notevolissimo il passaggio sui confini), ma questi, nonostante
l’affermazione di voler parlare di politiche piuttosto che di politica, sono
sempre affrontati come concetti astratti, non come aspetti della vita
quotidiana.
Letta
parla al ceto politico. Berlusconi parla alle persone.
Qualcuno
dirà che parla alla pancia, alle emozioni. Ma non è solo questo; a patto che
davvero si possano dividere pancia e cervello nelle motivazioni umane. Anche
Letta suscita e cerca le emozioni ma lo fa con metafore e racconti dotti,
lontani dalla quotidianità, come il finale su Davide e Golia.
Berlusconi,
invece, ha probabilmente, la capacità istintiva di centrare quella che nel marketing
viene chiamata la Usp, unique selling preposition, la esclusiva motivazione
all’acquisto. Individua il tema, gli attribuisce il valore simbolico motivante
e attorno ad esso costruisce l’aggregazione.
La
sinistra, ma non sono così sicuro che il problema sia della sinistra se non
piuttosto di un certo approccio culturale, non ha questa capacità. Una certa
politica e molta sinistra guardano le cose dall’alto delle istituzioni,
piuttosto che dai marciapiedi.
L’Imu
di Berlusconi diventa un valore simbolico, una cornice di significato che evoca
tante cose: bisogna far pagare meno tasse, bisogna tutelare un bene prezioso
come la prima casa, quella che è sinonimo di famiglia, proprietà e sicurezza
acquisita, continuità con i figli, frutto del proprio lavoro. Poco importa se
la difesa di queste cose non è coerente con l’abolizione della tassa stessa. È
diventata l’elemento che ti distingue, che ti fa identificare. Berlusconi e i
suoi sono questo.
Dall’altra
parte cosa c’è? L’Europa? Certo, Letta cerca con le borse di studio Erasmus di
farla entrare nella quotidianità, ma a quanti parla? Di che cosa parla? Cosa è
l’università oggi nell’esperienza dei giovani italiani?
È
urgente trovare argomenti che possano diventare la Usp del Pd di questa fase? A
febbraio, gli oppositori del governo Monti, molti dei quali interni al Pd, la
individuarono negli esodati e per i loro obiettivi politici fu una scelta
felice. La reputazione del governo Monti ne fu fortemente indebolita.
Ma ora?
Diventa centrale anche per il Pd individuare una motivazione forte per
sostenere il governo Letta, altrimenti sarà solo un successo di Berlusconi.
È
importante però dire che trovare il messaggio motivante non è questione di copy
writer o comunicatori (non lo dico solo per salvarmi l’anima), è una questione
di approccio. Bisogna avere il coraggio di prendere un cavallo di battaglia che
risponda alle attese delle persone che si vogliono chiamare a raccolta e su
questo giocarsi tutto. Le metafore vincenti, i messaggi efficaci, nascono solo
da una visione chiara, ben a fuoco, dei problemi che si vogliono affrontare. E
poi dal coraggio di mettersi in gioco. E Letta deve essere consapevole che è
diventato premier ma non ancora leader.
Claudio
Bellavita
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