Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


martedì 7 maggio 2013

ITALIA - La sinistra e lo spettro dei socialisti


Nell’ascoltare dalla Gruber Cacciari, pensiero politico progressista italiano fra i più lucidi ed intelligenti, nel senso etimologico del termine, sembra rileggere le note scritte di Craxi e rivedere l’intervista rilasciata da Reichlin a Minoli sulla visione del leader socialista di trent’anni fa. Che anticipava, mi perdoni Cacciari al quale va tutto il mio consenso intellettuale (pregandolo però di calarsi sempre nella realtà di un paese complicato), le questioni poste oggi e le soluzioni proposte dallo stesso Cacciari.
è evidente che il berlusconismo nasce dall’incapacità di essere, e quindi di decidere, della sinistra italiana. Al di là delle ipotesi occhettiane, sempre dalla Gruber, che fanno ormai tenerezza. L’errore fondante della sinistra italiana è stato la mancata trasformazione del Pds in Partito socialista italiano per un’antica ostilità, anche linguistica, nei confronti di un movimento che, nato nel 1892, ha originato, insieme al repubblicanesimo liberale, la democrazia nel nostro paese.
Da qualche parte devo ancora avere la copia della lettera di Fassino che chiede a Craxi di intercedere per l’ingresso del Pds nell’Internazionale socialista. Cosa che fu fatta. E nel contempo sarebbe divertente chiedere ad Occhetto, o a testimoni socialisti dell’epoca, italiani ed europei, il suo atteggiamento dopo aver soddisfatto il desiderio. Qualcuno potrebbe vergognarsi. Ed anche dopo gli Stati generali della sinistra a Firenze, dopo che Giorgio Napolitano e Massimo D’Alema avevano riconosciuto la superiorità strategica del Partito socialista italiano nel collocarsi culturalmente in Occidente, si riuscì a creare i Democratici di sinistra – alimentando l’equivoco che possano esistere democratici veri di destra – pur di non chiamarsi socialisti. Ed io, da socialista, comunque entrai nei Ds perché idealmente ed ideologicamente non avevo altra scelta. Come del resto sostenevano logicamente Aniasi da una parte ed alcuni liberal democratici da un’altra.
Ed è proprio usando quel pragmatismo socialista che Cacciari definisce «meno peggio» la situazione attuale, necessaria ed ineludibile per risolvere i nostri problemi nei prossimi ventiquattro mesi. E poi si augura un chiarimento nel centrosinistra, una sua scomposizione in socialdemocratici, popolari non conservatori e liberal democratici, ben individuabili “partiticamente”, ma che però siano coalizione chiara per l’elettorato al fine di battere il populqualunquismo. Quello dei reduci del berlusconismo, quello di una destra italiana ironicamente sociale, quello del grillismo inconcludente e quello di una presunta sinistra che ormai è da annoverare anch’essa nella conservazione per similitudini con altri.
Ipotesi che altro non è la congiunzione esplicita riminese craxiana del pensiero socialista riformista (che doveva trovare attuazione nell’unità socialista della sinistra italiana), del pensiero liberal democratico e del pensiero cristiano sociale pur rimanendo organizzativamente divisi fra loro. Quando a Craxi chiesero se pensava possibile la creazione di un grande partito unitario progressista rispose che per tre generazioni questo non sarebbe stato possibile vista la peculiarità culturale del nostro paese. Si poteva immaginare un’Internazionale democratica, fra progressisti, ma al momento ed ancora per molti anni, avremmo dovuto governare il nostro paese con alleanze ovviamente plurali, tese al bene comune e nell’interesse generale, lontane da qualunque inciucio con le destre ultra liberiste ed anti sociali.
Letta si è dato, con grande onestà intellettuale, diciotto mesi di tempo per verificare se questo nuovo centrosinistra – così come l’ho definito e lo ripeto – riesca a fare, lealmente, le cose necessarie per salvare questo paese dalla recessione. Recessione che, purtroppo, al momento si intensifica. Ovviamente all’interno di un’Europa possibile che però non può subire, storicamente, germanizzazioni e che deve essere sintesi politica di storie diverse vicendevolmente rispettose ed obiettivamente intessute di cultura mediterranea, così come lo stesso nome del continente.
E la coalizione in corso, come ho già scritto, con il Pd e i suoi alleati a fare da Psi, con il Pdl a fare da collante doroteo fra le sue correnti, con Scelta Civica a fare il Partito repubblicano con vocazione pedagogica quotidiana, non ha altra possibilità che seguire pedissequamente le indicazioni del capo dello stato e la passione civile e politica del neo presidente del consiglio al fine di evitare lo sconquasso e problemi di ordine pubblico. Letta ha avuto la fortuna di imparare da Beniamino Andreatta, grande economista trentino, federalista e meridionalista insieme tanto da essere cofondatore dell’Università calabrese, con aula magna ed alto rilievo dedicatigli.
Anch’egli politico visionario della Prima repubblica, quella sostanzialmente seria, che “disegnò” le sue speranze nel libro Per un’Italia moderna. Questioni di politica e di economia. Sempre attento, con inflessibilità, all’etica formale e sostanziale nei comportamenti dimostrando un rigore morale eccezionale nelle vicende vaticanensi, Ior ed Ambrosiano, e nello squallore, offensivo per la democrazia, piduista.
Auguriamo a Letta di coltivarne il ricordo con l’azione quotidiana al di là dei compromessi politici necessari nell’interesse generale per “spaludare” questo nostro benedetto paese.
Arnaldo Sciarelli – Europa quotidiano

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