Di fronte alla crisi politica greca l’idea dell’uscita
di Atene dall’Unione monetaria riprende quota. In realtà sarebbe un disastro:
il rischio di contagio è più alto che mai e le ripercussioni geopolitiche sono
incalcolabili.
José Ignacio Torreblanca 11 maggio
2012 El País
Madrid
Questa Europa non concede un attimo di respiro, come
se odiasse la prevedibilità che per decenni ha fatto in modo che la gente
comune non le prestasse la minima attenzione. Sono passati pochi giorni da
quando la vittoria di Hollande in Francia ha acceso un barlume di speranza e
già ci troviamo nuovamente alle prese con i due problemi che caratterizzano più
di tutti gli altri questa crisi.
Da un lato la fragilità dei sistemi politici, che come
in Grecia si autodistruggono nel tentativo di convincere la popolazione a
sottomettersi a un’austerity senza limiti né prospettive e a sostenere gran
parte del peso della crisi. Dall’altro lato, come in Spagna, la fragilità di
buona parte del sistema finanziario, conseguenza di un decennio di eccesso di
liquidità, cattiva gestione e pessima supervisione.
Questi due punti deboli si sommano e si alimentano a
vicenda, creando una situazione insostenibile: in Grecia la prospettiva di una
revisione dei termini del piano di salvataggio avvicina lo scenario di
un’uscita di Atene dall’eurozona, in Spagna l’instabilità finanziaria e la
sfiducia sulla scena internazionale compromettono il buon esisto delle riforme
e degli tagli alla spesa, che oggi rappresentano l’unico obiettivo del governo.
Per mantenere la Grecia nell’euro ed evitare una
reazione a catena che colpirebbe duramente la Spagna, i governi dell’eurozona
dovrebbero prendere decisioni radicali e realizzare misure in grado di
rassicurare i mercati sul futuro della Grecia all’interno dell’euro, o almeno
convincerli che l’abbandono di Atene sarebbe un fatto isolato.
Ma la verità è che i leader europei non hanno messo a
punto alcun firewall adeguato, e i mercati non credono a nessuna delle loro
affermazioni. Questo preoccupante pessimismo ha cominciato a contagiare molti
esponenti delle istituzioni europee, e intanto Grecia e Germania sono ormai al
limite dello sforzo: da un lato c’è la spossatezza dell’austerity greca,
dall’altro quella della solidarietà tedesca.
È assolutamente necessario fermarsi e analizzare la
situazione a mente fredda: l’uscita della Grecia dall’euro sarebbe una
catastrofe, per i greci e per gli altri popoli che vivono nei paesi
dell’eurozona. Le condizioni di vita dei greci peggiorerebbero ulteriormente, e
i partiti estremisti diventerebbero ancora più forti. Anche se formalmente la
Grecia farebbe ancora parte dell’Unione europea, l’uscita dall’eurozona
comprometterebbe tutte le politiche su cui si basa la sua appartenenza all’Ue,
specialmente quelle per il mercato interno. In sostanza Atene sarebbe tagliata
fuori dall’Unione.
Inoltre bisogna valutare le conseguenze sul piano
geopolitico: proprio mentre l’Ue cerca di attirare nella sua sfera i Balcani
occidentali e si prepara all’adesione della Croazia dopo un lungo periodo di
turbolenze, l’uscita della Grecia dall’eurozona aprirebbe un nuovo fronte di
instabilità in una regione già di per sé difficile da gestire. Psicologicamente
i greci identificherebbero il progetto europeo con un fallimento, e logicamente
vorrebbero allontanarsene il più possibile.
Hollande è in ritardo
La dis-europeizazione della Grecia potrebbe dare
slancio le forze anti-occidentali – che storicamente nel paese sono più solide
che in altri stati vicini dell’Europa del sud come Spagna, Italia o Portogallo
– con importanti ripercussioni in materia di sicurezza. L’appartenenza della
Grecia alla Nato potrebbe essere messa in dubbio, e l’ascesa del nazionalismo
potrebbe inasprire le tensioni con Turchia e Macedonia.
Per il resto d’Europa le conseguenze sarebbero
altrettanto terribili. L’“uscita controllata” (eufemismo molto di moda di
questi tempi) nasconde la speranza cinica che i greci siano un’eccezione. Nella
sostanza, però, l’uscita della Grecia dall’eurozona sarebbe assolutamente
intempestiva, soprattutto considerando la grande vulnerabilità di Portogallo,
Italia e Spagna, dove i tagli alla spesa pubblica hanno colpito duramente la
popolazione, le riforme non hanno ancora dato risultati apprezzabili e il
pacchetto per la crescita è ancora in fase di discussione. In altre parole,
l’uscita della Grecia arriverebbe nel momento peggiore, quando il suo fattore
di contagio è massimo e le probabilità di isolamento minime.
La Commissione europea sta cercando di mettere a punto
il più rapidamente possibile un pacchetto di misure per stimolare la crescita,
e spera in questo modo di suscitare un sentimento di speranza nei popoli
d’Europa. Il pacchetto dovrebbe comprendere fondi strutturali, prestiti della
Banca europea per gli investimenti (Bei) e un nuova flessibilità per gli
obiettivi di riduzione del deficit. Con un occhio a ciò che succede in Grecia,
l’ottimismo suscitato dalla vittoria di Hollande, che ha portato una ventata
d’aria fresca a Bruxelles, convive con una domanda angosciante: e se Hollande
fosse arrivato troppo tardi? (Traduzione di Andrea De Ritis)
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