I differenti esempi di Portogallo e Grecia non lasciano
dubbi al governo di Mariano Rajoy: meglio soffrire come Lisbona oggi che
ritrovarsi come Atene domani.
18
maggio 2012 El Mundo Madrid
Esattamente
un anno fa ha preso il via il salvataggio del Portogallo. Il 17 maggio 2011
l’Ue e l’Fmi hanno deciso di aiutare con 78 miliardi di euro il governo
socialista di José Sócrates, che il 7 aprile aveva chiesto un intervento
esterno. In cambio Lisbona si impegnava ad avviare un rigoroso piano
di riforme e risanamento finanziario.
Un
mese dopo il paese ha cambiato governo, e il conservatore Pedro Passos Coelho,
con l’appoggio dell’opposizione, ha continuato ad applicare le misure di
austerity. Da allora il governo portoghese ha aumentato le imposte dirette e
indirette, ha ridotto di oltre il 15 per cento il salario degli statali, ha
tagliato la spesa per la sanità e l’istruzione e ha fermato le nuove
infrastrutture. Tutto ciò ha provocato un tasso di disoccupazione senza
precedenti (14,9 per cento della popolazione attiva).
Tuttavia
il primo trimestre del 2012 ha sorpreso tutti con un calo del pil di appena lo
0,1 per cento, parecchio al di sotto delle previsioni, grazie soprattutto al
settore estero [le esportazioni e le attività delle imprese portoghesi
all’estero]. Il Portogallo è ancora in recessione, ma almeno intravede la luce
in fondo al tunnel.
La
situazione in Grecia è molto diversa: il piano di salvataggio è in corso da più
di due anni, e le riforme proseguono con lentezza esasperante. La classe
politica greca sta dando prova di grande irresponsabilità, e i cittadini
sentono che i loro sacrifici sono inutili. Il Portogallo non è più sotto il
fuoco incrociato dei mercati, mentre la Grecia tiene tutta Europa con il fiato
sospeso.
Le
vicende dei due paesi evidenziano la differenza tra rispettare o meno gli
impegni presi. Il cammino di risanamento e riforme intrapreso dal governo di
Mariano Rajoy è l’unico possibile, anche se a volte gli attacchi dei mercati
suscitano forti dubbi. È precisamente ciò che sta accadendo in questi giorni:
acausa delle incertezze sul futuro della Grecia all’interno dell’eurozona lo
spread ha superato quota 500 punti per la prima volta nella storia, e la Borsa
è sprofondata a livelli simili a quelli del 2003.
Ieri
il ministro delle finanze Cristóbal Montoro ha ripetuto al congresso che “se
non realizziamo il risanamento i mercati ci costringeranno a farlo”. Non c’è
più tempo per i ripensamenti. Soltanto proseguendo senza voltarci indietro
possiamo sperare nell’aiuto dell’Unione europea e della Bce. È in questo
contesto che vanno interpretate le lamentele di Montoro e Rajoy, che chiedono
più decisione a Bruxelles e Francoforte per difendere la Spagna.
Ieri
il capo del governo ha chiesto all’Unione europea un messaggio “chiaro e
deciso” in difesa dell’euro e della “solvibilità del debito sovrano”, facendo
riferimento al “serio pericolo” che i mercati non prestino più denaro alla
Spagna o lo facciano a prezzi “astronomici”, paralizzando il finanziamento del
paese e delle imprese e istituzioni finanziarie che sono già in grandi
difficoltà nell’ottenere credito e proseguire l’attività.
Il
governo ha lanciato questo messaggio quando nei mercati si è diffusa la notizia
che la Bce avrebbe agito in difesa del debito spagnolo soltanto quando lo
spread avesse superato i 500 punti. A quel punto lo spread è calato
rapidamente, e alla fine della giornata ha chiuso a 482 punti. L’esecutivo ha
ragione a lamentarsi, perché l’economia spagnola non può reggere a lungo un
differenziale con i Bund tedeschi così elevato.
Ma
allo stesso tempo il governo deve riconoscere la colpa di uno spread così alto
è prima di tutto nostra, e la situazione non migliorerà fino a quando i mercati
non vedranno i primi effetti benefici delle riforme. In questo senso la
nazionalizzazione obbligata di Bankia è stata un passo indietro, perché ha
ravvivato i dubbi sul settore finanziario spagnolo. Oggi possiamo fare un
importante balzo in avanti se il Consiglio della politica fiscale e finanziaria
mosterà che stiamo cominciando a controllare il deficit delle comunità
autonome. (Traduzione di Andrea
Sparacino)
Da Lisbona
Aspettando le brutte notizie
In
attesa del vertice del G8, in programma negli Stati Uniti questo fine settimana
per discutere la crisi dell’eurozona, Jornal de Negocio sottoline Jornal de Negócios sottolinea che:
È
normale che i greci parlino come se fossero pazzi. Dopo tutto sono sull’orlo
della catastrofe. Non è normale che l’Unione europea si comporti come se avesse
la situazione sotto controllo. Dopo tutto anche l’Ue è sull’orlo della
catastrofe. […] In Portogallo teniamo il fiato sospeso, e guardiamo da lontano
qualcosa che determinerà il nostro futuro. Osserviamo i mercati come se
ascoltassimo alla radio la telecronaca di una partita che temiamo di perdere.
[…] È il momento di andarcene via dalla spiaggia e sostituire il Martini con un
tè alle erbe. Negli ultimi giorni il costo del debito di paesi come Spagna e
Francia è schizzato alle stelle. (E il Portogallo ha subito seguito a ruota).
Il
quotidiano di Lisbona, convinto che l’Europa non stia agendo con solidarietà ma
reagisca semplicemente agli stimoli, pone alcuni interrogativi:
La
moneta unica sopravviverà? C’è denaro a sufficienza per aiutare la Spagna? Se
Madrid crolla, cominceranno a tremare anche Italia, Francia e l’intero palazzo?
Il “firewall” che circonda la Grecia riuscirà a scongiurare il contagio e
proteggere il Portogallo? Può la Grecia uscire dall’euro e restare all’interno
dell’Ue? Sono queste le domande. Oggi. Sempre. […] E ancora una volta abbiamo
paura della domenica, giorno prediletto delle pessime notizie.
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