Pensare Globale e Agire Locale

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domenica 27 gennaio 2013

ITALIA - Diventare socialisti per non morire democristiani


L'auspicio della formazione di un grande partito socialista italiano non risponde soltanto ad una “mozione degli affetti”, come quella disegnata nel capitolo precedente, ma discende da una attenta lettura della situazione economico politica nazionale, europea e mondiale .

Abbiamo già visto in profondità quale sia il progetto politico che si cela dietro il “cosiddetto centrino” di Monti, Casini (e sarebbe giusto a questo punto dire anche Riccardi) .
E il progetto di dar vita ad un grande partito moderato di centro, epigono delle miglior stagioni della Democrazia Cristiana;
con una sintesi estrema si potrebbe dire che Monti e Casini intendono costruire una DC + LaMalfa, e cioè un partito saldamente posizionato al centro, collegato con originalmente con il PPE, ispirato ai valori della dottrina sociale della chiesa, ma con un attenzione maggiore di quella avuta a suo tempo dalla DC rispetto all'equilibrio dei conti pubblici , al “rigore finanziario” di lamalfiana memoria .

Se questa analisi è giusta , e se i piani di Monti e Casini di prosciugare il bacino elettorale berlusconiano riusciranno, il competitor che a breve periodo si troverà di fronte la sinistra italiana, non sarà più il Cav. , ma sarà appunto questa forza moderata di centro.
Da una parte questo è un salto positivo in avanti perché finalmente in Italia avverrà qualcosa di politicamente europeo e si uscirà dal bipolarismo muscolare degli ultimi 20 anni, che tanti danni ha fatto al nostro paese; dall'altro lato però la sfida che si troverà a giocare la sinistra, sarà di tutt'altra natura rispetto alla stagione dell' antiberlusconismo.
Berlusconi è stato per la sinistra un avversario difficilissimo, perché dotato di enorme carisma, immenso potere economico, grandissima influenza sui media, ma tutto sommato funzionava nella battaglia lo schema facile del CONTRO; proprio perché Berlusconi era tutto questo, la chiamata alla armi contro il possibile tiranno, faceva aggio sulla necessità di proporre le proprie visioni, e di convincere gli elettori attraverso un “progetto per”;
e difatti si è sempre giocata contro il cav. la carta della grande ammucchiata, riformisti e estremisti insieme, pur di batterlo (con successive evitabili diaspore governative e fallimenti)
Beh ! Questa stagione è chiusa; se il competitor della sinistra sarà il centro moderato, la battaglia non si potrà mai più fare CONTRO, ma sarà giocata sui visoni diverse dello sviluppo economico, dell'ambiente, della democrazia, del lavoro, del fisco, insomma finalmente ci si dovrà confrontare su numeri, progetti, obiettivi, su cosa fare per migliorare l'Italia in un quadro economico globale.
Questo pone un primo grande problema alla sinistra: se il centro si compone e si riunifica, possiamo noi andare avanti con tanti partiti?
La coalizione PD-PSI-SEL può essere immaginata come un unico soggetto politico di centro sinistra?
Non è il prodromo di questa soluzione di unificazione , l'idea lanciata da Bersani che su tutte le questioni controverse voteranno i gruppi parlamentari e poi tutti dovranno seguire la maggioranza?
Con quale vocazione e identità dovrebbe nascere questo partito unico del centrosinistra?
A fronte di un centro che rifiuta i rapporti privilegiati con la destra e con il regionalismo estremista della Lega, a fronte un centro che assume le sembianze europee del Ppe, non è logico porsi il problema che il partito unico di centrosinistra da far nascere, necessariamente debba essere la costola italiana del PSE?
E che quindi proprio il più piccolo dei tre partiti, il microscopico PSI , porta in dote agli altri due , il più prezioso dei DNA per una simile operazione e cioè l'adesione organizzativa storicamente consolidata al PSE??
E' plausibile di fronte ad un centro forte unito e organizzato che all'interno del PD sopravvivano posizioni di strabismo o politico e ciò persone che guardano al PSE e persone che guardano al PPE?
Se la politica italiana diventa europea al centro, lo deve diventare ineluttabilmente anche a sinistra.
La questione così impostata, sembra un amaro calice che va bevuto per non perire; le cose però non stanno affatto così; è proprio la complessità dei problemi, la necessità di affrontarli in sede europea e globale, che spinge in una certa direzione; le stesse politiche di sviluppo, di ridisegno del welfare, di cittadinanza , non si possono più fare in un paese solo; o passano in Europa o non passano; è il limite grande su cui le posizioni del Centro di Monti possono , e debbono , essere contestate;
queste posizioni centriste parlano sempre dell'Europa e ripetono “ la linea ce la impone l'Europa” come un mantra; come una verità rivelata ed immutabile;
L'Europa, però, fino a prova contraria sono i paesi, i governi, i partiti, i popoli che la compongono, non sono i mercati, o perlomeno NON sono SOLO, i mercati; ed allora ecco che le politiche più avanzate, più socialmente eque, una diversa visone del rigore che ad esempio lo sottoponga, in una scala di valore ,allo sviluppo ( è più importante lo sviluppo che il rigore) sono politiche , che si possono fare se si modifica il quadro politico europeo, quello che oggi dice l'Europa a maggioranza PPE, domani potrebbe esser detto diversamente da un' EUROPA a maggioranza PSE.
Ecco dunque che l'evoluzione socialista della sinistra italiana, in questo quadro , cessa di essere una mozione degli affetti , ma diventa una scelta razionale, una opportunità, forse una necessità.

Perché se il centro gioca la sua partita a
livello europeo, cioè, se il centro gioca la sua “Champions League”, la sinistra non può fermarsi al campionato italiano.

Casotti Paolo

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