Questo piccolo testo, scritto a pochi giorni
dal voto, non può ovviamente tenere conto dei risultati. Quando i nostri
lettori li avranno a disposizione, ci saranno anche i relativi commenti –
trionfalistici o comunque soddisfatti – delle varie formazioni politiche. Il
nostro compito è allora oggi semplicemente quello, di aiutare a capire chi ha
vinto, chi ha perso o anche pareggiato. Cominciamo dunque a dire che, tra
quelli che avranno perso, ci sarà sicuramente la sinistra radicale. E’ ancora
possibile, e certamente auspicabile, che la lista Tsipras superi lo sbarramento
del 4%. Avere a Strasburgo il sostegno, magari fortemente critico, di forze
radicali, ma europeiste è, infatti, interesse non solo del Pse ma della stessa
costruzione europea. Ma l’eventuale successo della lista avverrà in un contesto
di grande debolezza, elettorale ma soprattutto politica di tutta l’area. Solo
sei anni fa, al tempo di Prodi, i partiti a sinistra del Pd superavano
largamente il 10%; oggi, bene che vada, saranno poco oltre il 5%. In una fase
storica in cui il procurato disastro economico e sociale dovrebbe giocare a
loro favore.
Un bilancio disastroso. Che riflette una
crisi, politica, di idee, di partiti e di gruppi dirigenti che non sembra avere
mai fine. Sarebbe ora il caso di mettersi tutti in gioco; per ricominciare non da
tre ma propriamente da zero. Ma veniamo al Pd. A un partito i cui dirigenti,
durante tutta la campagna elettorale, si sono ben guardati di parlare di
numeri; sino al punto di ipotizzare come obbiettivo da raggiungere quello di
superare la percentuale di Grillo. Per chiarire i termini della questione,
potremo parlare di vittoria totale se si superasse il livello raggiunto da
Veltroni nel 2008 ( 33.7%; ma con il centro-destra al 48%…) e, se insieme, si
staccasse il M5S di più di cinque punti percentuali. Di pareggio, se si
verificasse la prima ipotesi, ma non la seconda. Di sconfitta, con il Pd
intorno al 30-31%, affiancato o ( cosa meno probabile) superato dai grillini.
In tutti e tre i casi, Renzi dovrebbe, però,
restare padrone del gioco. E questo, perché avrebbe, alla sua destra, un campo
di rovine. Da una parte la sparizione, elettorale e anche politica del centro;
dall’altra la scomposizione-frammentazione del centro-destra, con la probabile
crisi finale dell’egemonia berlusconiana. Pochi cenni sul primo punto. Perché
le cifre dovrebbero essere impietose. Poco più di un anno fa, il centro
superava di un punto o due il 10%; oggi, molto probabilmente, rimarrà sotto al
4%. Politicamente sarà la fine dei Casini e di Mastella, come possibile ago
della bilancia e, quindi, come costante oggetto del desiderio; e anche della
pretesa vanagloriosa di Monti nella veste di salvatore della patria e di
bacchettatore della destra e della sinistra. E’ probabile che la dissoluzione
del centro benefici, in particolare la sinistra modello Renzi; ma anche il
centro-destra, versione Alfano dovrebbe ereditare una parte del bottino.
Questo, per invitare i nostri lettori a non
guardare alla somma, insomma alla percentuale di consensi raggiunta dalle varie
formazioni del sullodato centro-destra; ma piuttosto ai suoi vari addendi.
Ricordiamo, al riguardo, che il 29% raccolto nel 2013 era attribuibile per
oltre il 21% al Pdl e per il 7/8% a tutti gli altri. Oggi, allora, i casi sono
due: o Berlusconi va di poco sotto al 20% mentre tutti gli altri superano di
poco il 10% ( non consentendo ad Alfano, oppure alla Lega, oppure a Fratelli
d’Italia, di superare lo sbarramento); oppure il Cavaliere va ad una
percentuale più o meno uguale a quella dei suoi tre concorrenti, tutti in grado
di andare oltre l’asticella.
Nel primo caso, Berlusconi rimane l’unico
possibile federatore del centro-destra mantenendo saldo il suo patto con Renzi,
Italicum compreso. Nel secondo, salta tutto, legge elettorale compresa. Libero,
a quel punto, l’ex sindaco di Firenze, di scegliere tra doppio turno di
collegio e proporzionale (con sbarramento); due modelli, due strategie
politiche. A pesare, in questa futura scelta, sarà il risultato raggiunto da
Grillo. L’ideale, al di là delle smargiassate del Nostro, sarebbe il risultato
più temuto dal Pd, una percentuale intorno al 30%, sopra il Pd meglio se di
pochissimo sotto.
E, attenzione, anche una percentuale più o
meno corrispondente a quella raggiunta dal centro-destra. A quel punto, tutti
gli altri dovranno aggiornare tattiche e strategie; il M5S potrà permettersi di
aspettare.
Chiudiamo con la questione dell’astensionismo. Come cittadini dovremmo preoccuparci se questo superasse il 40%; negli altri casi, saremmo di fronte ad un calo fisiologico (in un contesto in cui la partecipazione italiana dovrebbe rimanere superiore alla media europea). Siete pregati invece di non credere alle lacrime di circostanza dei grandi partiti tradizionali; per loro meno la gente vota meglio è. Perché, in questo caso, diminuirebbe il voto di opinione; non quello organizzato di cui si ritengono, ancora, padroni.
Chiudiamo con la questione dell’astensionismo. Come cittadini dovremmo preoccuparci se questo superasse il 40%; negli altri casi, saremmo di fronte ad un calo fisiologico (in un contesto in cui la partecipazione italiana dovrebbe rimanere superiore alla media europea). Siete pregati invece di non credere alle lacrime di circostanza dei grandi partiti tradizionali; per loro meno la gente vota meglio è. Perché, in questo caso, diminuirebbe il voto di opinione; non quello organizzato di cui si ritengono, ancora, padroni.
Alberto Benzoni
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