Pensare Globale e Agire Locale

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lunedì 1 ottobre 2012

ITALIA - L'Ilva alla corte dell'Aja: connivenze e responsabilità di un disastro

La denuncia è per genocidio e crimini contro l'umanità. Ma le colpe per l'avvelenamento di Taranto sono ben distribuite e spesso sfumate. A volte sotterranee.

Mentre viene data la notizia che il comitato "Taranto futura" ha presentato una denuncia al tribunale penale internazionale dell'Aja contro l'intera dirigenza dello stabilimento tarantino Ilva, in concorso con la classe politica locale, regionale e nazionale per i reati di genocidio e crimini contro l'umanità, la città dei due mari continua a essere divisa dalla vicenda dell'industria metallurgica, prima produttrice di diossina in Europa.
Non si intravede ancora una soluzione dopo il provvedimento del tribunale di Taranto di sequestro e fermo del colosso industriale di proprietà della famiglia Riva, mentre i cittadini di Taranto sono sempre più divisi tra chi chiede la tutela della salute e chi vuole garanzie per il proprio posto di lavoro. Una soluzione che consenta di ottenere entrambe le cose pare, anche per motivi tecnici legati al funzionamento della struttura, a tutti impercorribile.
In questi giorni, a ogni annuncio di nuovi passi da parte dei giudici seguono immediate manifestazioni di protesta e scioperi a favore della proprietà con blocchi stradali, fomentando sospetti di sindacati "gialli" alla guida dei manifestanti.
La denuncia del comitato Taranto Futura, presieduta da Nicola Russo, prende di mira (oltre all'azienda) la classe politica locale, regionale e nazionale, rimarcando la responsabilità politica oltre che giuridica di coloro che, facilmente piegati al ricatto occupazionale se non troppo comprensivi per altre peggiori forme di connivenza, non hanno posto regole a chi avvelenava la città; come spesso è successo in Italia, in presenza di problemi mai affrontati si è infine reso inevitabile il ricorso alla via giudiziaria, attraverso l'intervento suppletivo della magistratura, ora ritenuto eccessivo da chi fino a ieri dormiva.

Ma esistono sicuramente altri responsabili, forse solo morali, che vanno individuati nella stampa, nelle associazioni, nell'intellighenzia e nella Chiesa tarantine.
Questa Bophal silenziosa, durata per oltre 40 anni, si è potuta realizzare infatti anche per la concomitante cecità di chi poteva e doveva informare, vigilare e denunciare e che invece non si accorgeva dei casi sempre maggiori di tumori né degli allarmi dei pediatri, che denunciavano in bambini di dieci anni dei quartieri più vicini alla fabbrica condizioni dell'apparato respiratorio paragonabili quelle di adulti fumatori da trenta sigarette al giorno.
Unici inascoltati don Chisciotte gli ambientalisti locali.

In realtà qualcuno ai tumori di Taranto ci pensava e anche molto, facendo bene i propri conti, tanto da progettare un polo oncologico di eccellenza che aveva ricevuto la benedizione del presidente Vendola, evitando così ai sempre freschi casi tarantini fastidiose trasferte della speranza in Lombardia: il prete d'affari Don Luigi Verzè, che per il nuovo San Raffaele del mediterraneo aveva raccolto milioni di investimenti, in massima parte regionali.
Ma il crack finanziario della holding con sede a Milano e la non prevista morte nella notte del 31 dicembre 2011 del prete amico di Berlusconi, Formigoni e dell'ultimo nuovo pupillo Nichi Vendola, ha annullato il progetto faraonico.

In un filone di inchiesta parallelo, che si annuncia dagli effetti devastanti sul piano politico e sociale, sono raccolte intercettazioni ambientali in cui appartenenti all'Ilva, faccendieri o politici parlano di come gestire la vicenda delle analisi e come addomesticare la stampa. Appaiono i primi riscontri contabili di bonifici, benefit e regali pasquali e natalizi in generi alimentari di lusso per tutti, dai giornalisti all'arcivescovado fino ai parroci delle parrocchie da tenere sotto il silenziatore, alle quali l'Ilva pagava centinaia di migliaia di euro per ristrutturare la chiesa.

Per molte di queste vicende, una volta che l'inchiesta sarà chiusa, non si giungerà probabilmente a ipotizzare veri reati, visto che le persone coinvolte non rivestivano il ruolo di pubblici ufficiali. I fatti accertati resteranno solo a riprova della capacità di penetrazione dell'Ilva nel tessuto sociale di una città.
E per quel che riguarda la Curia di Taranto, il nuovo arcivescovo monsignor Filippo Santoro, nominato da pochi mesi e quindi del tutto estraneo ai fatti, si è già dato assoluzione e penitenza; per calmare le polemiche ha detto che non "accetteremo più denaro dall'Ilva", a malincuore perché "servirebbero a fare beneficenza ai tanti disoccupati o cassintegrati della città che incontro ogni giorno".

Forse il vescovo vuol dire che non è vero che la farina del diavolo va tutta in crusca.

Giuseppe Ancona

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