Pensare Globale e Agire Locale

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giovedì 15 dicembre 2011

Collettivo Socialista Chivassese (CSC): La storia della Carta di Chivasso

I l 19 dicembre 1943, nel pieno della guerra di occupazione, quando già i soldati tedeschi e repubblichini controllavano L’Italia del Nord, a Chivasso, non lontano da Torino, si incontrarono sei cittadini e intellettuali, futuri protago nisti nella lotta partigiana, per discutere sulla ricostruzione post bellica e post fascista delle loro Valli. Ne nacque la Dichiarazione dei Rappresentanti delle Popolazioni Alpine, meglio conosciuta come “Carta di Chivasso” che, ancora oggi, mantiene una sua forte attualità e costituisce un momento di testimonianza e condanna per un’occasione che la neonata repubblica italiana ha saputo soltanto perdere o snaturare.
Parliamo di questo con uno dei protagonisti di allora, Gustavo Malan, nella sua casa di Torre Pellice.
L’idea era di condurre un’intervista, ma, alla prima domanda, l’anziano professore si impadronisce del discorso con la forza e l’autorevolezza di chi sa di poter guardare ad un passato di uomo libero. Lasciamolo, dunque, parlare...
“A Chivasso eravamo in sei: due di Torre Pel lice, Osvaldo Coisson ed io, due da Milano, Mario Alberto Rollier e Giorgio Peyronel, due da Aosta, Emile Chanoux ed Ernest Page. La località era stata scelta perché comoda per il treno. Fummo ospitati dal geometra Pons, parente della moglie di Peyronel. Eravamo d’accordo che, se fossimo stati fermati, avremmo accampato la scusa di un atto notarile. Era assente Federico Chabod, che pure era stato fra i promotori dell’ incontro, per via della sua scelta fondamentalmente troppo italiana che lo aveva messo in dissenso con Chanuox. Anche Binel, di Aosta, da poco uscito di prigione, non era potuto venire. Tutti noi, tranne Page, poi diventato senatore democristiano, facevamo capo al Partito d’Azione che, comunque, non era direttamente interessato all’iniziativa. Insisto nel richiamare il Partito d’Azione perché era quello che, allora, sosteneva un programma autenticamente federalista, inserito in ambito europeo, dove i problemi delle autonomie avrebbero trovato spazio e respiro. Noi eravamo ben coscienti di rappresentare i Valdostani e i residenti della Valli Valdesi: due componenti delle Alpi Occidentali di cultura e lingua franco provenzale ed occitana, anche se, allora, il tema dell’Occitania non era messo in particolare rilievo. Pur con questa premessa, intendevamo indicare una strada che avrebbe potuto essere percorsa anche da altri popoli alpini e sarebbe stata un’indicazione per tutta l’Italia. All’ inizio della riunione fu letta una lettera di Chabod, ascoltata in educato silenzio dai Valdostani che, come detto, non condividevano le posizioni dello storico. Emile Chanoux, che mi era vicino, espresse il suo desiderio: la “République des Alpes” che non guardava alle frontiere attuali. Io concordavo con lui... Si partì da un documento preparato da Rollier che, insieme con Chanoux, fu il protagonista della giornata. La stesura finale, come ovvio, fu il risultato di qualche compromesso ma, nella discussione, non si registrarono reali divergenze. Oggi, a distanza di più di cinquant’anni, qualcosa della carta andrebbe rivisto e riformulato, anche se il senso delle rivendicazioni che contiene è ancora, e più che mai, attuale. Io fui incaricato della stampa del testo in Italiano ne esiste una copia in Francese e mi rivolsi alla Tipografia Alpina di Torre Pellice che, sebbene situata di fronte al comando nemico e perquisita per ben undici volte, non cessò di pubblicare, durante tutta la Resistenza, gran parte degli scritti del Partito d’Azione. Formalmente, la Dichiarazione dei Rappresentanti delle Popolazioni Alpine è all’origine dell’autonomia valdostana. Non ebbe effetto nella Valli Valdesi perché osteggiata dalla chiesa ufficiale, nelle persone, soprattutto, del Moderatore Sommani e del suo vice Nisbet che temevano che i Valdesi fossero ritenuti poco italiani e che questo danneggiasse il lavoro di evangelizzazione. L’unico a non condividere queste argomentazioni fu Erik Rollier, anche lui membro della dirigenza della chiesa, che manifestò il suo dissenso con una lettera poi pubblicata su “Nouvel Temps”.
Alla Costituente, per merito di Tristano Codignola, deputato di Firenze, la Carta fu presente, insieme con altro materiale preparato dal citato Rollier e da mio fratello Roberto Malan, e contribuì ad ispirare l’articolo 6 (La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche). Qualcuno, oggi, dice, non si sa con quanto fondamento, che abbia contribuito anche al nascere delle Comunità montane e dell’ordinamento regionale italiano.” Con questo ha termine l’intervista a Gustavo Malan. Al momento di salutarlo gli chiedo ancora qualcosa della sua vita. Mi dice di essere stato, nella Resistenza, vice Commissario di guerra del secondo raggruppamento Giustizia e Libertà del Piemonte. In seguito ha fondato ed animato l’Istituto Universitario di Studi Europei di Torino. (19/11/2002)

Questo importante documento firmato da autorevoli esponenti della resistenza antifascista piemontese attesta come le idee di identità dei popoli, in una europa plurale fossero ben presenti al momento di ricostruire sulle rovine lasciate dal fascismo una società moderna e realmente democratica.
Le notevoli intuizioni storiche in esso contenute ed il bene che ne sarebbe derivato sono state invece ignorate sia dal Partito comunista, il cui atteggiamento in materia seguiva la più rigida impostazione accentratrice giacobina e leninista, sia dalla Democrazia cristiana, fortemente legata agli interessi della burocrazia romana lasciata in eredità dal vecchio regime.

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